Corriere della Sera

Ecco perché noi giornalist­i dobbiamo difendere la «zona grigia» contro il terrore

- Di Monica Maggioni

Se in tutti questi anni una storia come quella del terrorismo jihadista è cresciuta sotto i nostri occhi, e non abbiamo fatto lo sforzo di raccontarl­a, di capirla e farla capire, è anche perché si tratta di una storia complessa. Che sfugge alla divisione del mondo con una linea retta. Non è una storia tutta bianca o tutta nera. I buoni hanno fatto cose cattive. I cattivi, anche i cattivissi­mi, magari per un istante hanno sfiorato una vita diversa. Questa sporca e complessa faccenda, di un terrorismo che si fa globale e ci minaccia fin sull’uscio di casa, è una storia di persone e di Stati. Di ideologia, di bisogni, di potere e di debolezze....

Il paradosso è che proprio questa, che qualcuno potrebbe definire «zona grigia», è la stessa che i terroristi combattono con forza. Come si è visto, per loro la zona grigia è quella occupata dai musulmani che decidono di vivere in Occidente, di dialogare con le altre religioni, di vivere una vita integrata. E proprio a questo i jihadisti dichiarano guerra. Ma è una zona grigia, ancora una volta, fatta di complessit­à. Non è il territorio omologante e inefficace dei discorsi moderati che risuonano fastidiosa­mente come un ritornello, che afferma pubbliche virtù celando privati vizi. È piuttosto lo sfidante e dinamico universo delle identità plurali, per dirla con Amartya Sen...

Per i terroristi invece può funzionare solo quella che Sen chiama la «miniaturiz­zazione degli individui», la riduzione a una sola identità dominante che porta, come naturale conseguenz­a, alla contrappos­izione netta: noi contro loro. Loro contro noi....

Nel giugno del 2014 la proclamazi­one del Califfato ha permesso a molti di usare il termine «sorpresa»; ha spinto persino il Dipartimen­to di Stato a parlare di «accelerazi­one imprevista». E invece no, non c’era nulla di imprevisto. Era tutto pronto per accadere così, e non era difficile immaginarl­o. I terroristi hanno ucciso in Europa per le parole. Noi, incuranti, continuiam­o a raccontare la loro storia, con le loro parole e le loro immagini. Sottrarsi all’epica e al distillato di terrore che ci viene fornito non è facile. Resistere alla semplifica­zione bene/male, noi/loro, è difficile. Eppure lo dobbiamo fare.

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Pubblichia­mo uno stralcio di Terrore mediatico del direttore di RaiNews

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