QUELLE DONAZIONI DA FARE PER IL MASSIMO BENE POSSIBILE
Alla scadenza delle dichiarazioni dei redditi, sorge il dilemma su come orientarsi nel fare beneficenza. Uno dei principi da seguire è aiutare i più poveri del mondo, verificando che i soldi non si perdano nella burocrazia
Come ogni anno, l’approssimarsi delle scadenze per le dichiarazioni dei redditi sta producendo una pioggia d’inviti a sostenere organizzazioni, fondazioni, chiese e confessioni religiose, enti impegnati nei più svariati campi: aiuti al terzo mondo, adozioni a distanza, assistenza ai malati, ricerca scientifica, sostegno delle arti, tutela dell’ambiente.
Come scegliere tra tante finalità e organizzazioni?
Il filosofo americano Peter Singer, in un provocante libro appena pubblicato (The Most Good You Can Do), invita, come dice il titolo, a seguire il criterio del «massimo bene che puoi fare». Non limitarsi a fare del bene in prima persona e a donare agli altri quanto più possibile della propria ricchezza, ma, poi, perseguire l’obiettivo di un «altruismo efficace», assicurandosi che le proprie donazioni producano il massimo risultato possibile.
Assistere un non vedente offrendogli un cane addestrato per la guida costa negli Stati Uniti 40 mila dollari. Con la medesima somma, nei Paesi più poveri, si potrebbero pagare operazioni che salverebbero dalla cecità tra quattrocento e duemila persone.
Considerati i costi prevalenti nei Paesi avanzati, è chiaro che ogni euro o dollaro speso «rende» infinitamente di più se speso aiutando i più poveri del mondo.
In questa prospettiva, la scelta si dovrebbe, allora, restringere a quale campo d’intervento privilegiare. Donando nel 1989 un miliardo di dollari, un terzo del suo patrimonio, Ted Turner, il fondatore della Cnn, ha dato il via a un programma che ha permesso di vaccinare da morbillo e rosolia 1,1 miliardi di bambini, contribuendo a far crollare del 78 per cento, tra il 2000 e il 2012, le morti dai due morbi e salvando, con meno di 80 dollari per ciascuna, 13,8 milioni di vite.
Chi vuol saperne di più può leggere il meraviglioso L’economia dei poveri di Esther Duflo, già premiata con la Clark Medal, il «Nobel» per gli economisti con meno di 40 anni. In Kenia, un letto a prova d’insetti che costa 14 dollari riduce del 30 per cento almeno la possibilità di infezione da malaria e permette quasi 90 dollari di maggior guadagno per ogni anno dell’intera vita lavorativa del bambino salvato dalla malattia.
Ma si possono adottare sino in fondo la logica e i suggerimenti di Singer? Se il criterio del «massimo bene possibile» inducesse a privilegiare sempre e comunque gli interventi nei Paesi più poveri e quelli direttamente a favore delle persone, che ne sarebbe della solidarietà a favore dei più deboli (malati, disabili, poveri, anziani) nei Paesi più ricchi? E della tutela dell’ambiente, del sostegno della ricerca scientifica, delle arti e della cultura, campi tutti nei quali il ritorno degli investimenti è per loro natura ben difficilmente misurabile?
Difficile, insomma, tradurre esclusivamente in numeri questioni così cariche di valori etici, di emozioni, di passioni, di fede.
Un’indicazione di Singer appare, in ogni caso, da meditare ed è quella che attiene, una volta individuato il campo verso il quale si vuole dirigere la propria donazione, alla scelta dell’organizzazione alla quale affi- darsi. Un primo suggerimento è quello di guardare a quanto pesino le spese dell’amministrazione così da capire quanto delle somme donate arrivi davvero a destinazione. Ma anche qui non tutto è così semplice. È più efficiente un’organizzazione talmente snella da non avere personale sul campo o un’altra che, al contrario, sia radicata nel territorio per controllare l’efficacia degli interventi eseguiti? La risposta, ogni altra considerazione a parte, può venire solo dalla trasparenza delle organizzazioni.