Semplicità alla francese
Raf Simons per Dior «ripulisce» gli abiti della sua nuova collezione cruise puntando su leggerezza, funzionalità e tagli couture. A fare da contrappeso la scenografia fantastica della «case delle bolle», a Cannes
«Pane, vino e couture». Raf Simons lascia piacevolmente colpito l’interlocutore quando parlando della sua ultima fatica, la collezione Dior Cruise 2016, arriva alla bizzarra conclusione che è quanto di più moderno si sia sentito ultimamente sulla moda. Stupisce la semplificazione dello stilista, belga, classe 1962, certo ma rende l’idea. E comunque arriva dopo un ragionamento che parte dalla location scelta, quel Palais Bulles, arroccato sulle alture di Cannes, e che è fra le opere di architettura moderne e folli (23 stanze-bolle con piscine-tonde e finestre-oblò e balconi ovali) e arriva al parallelo: «Una visione di casa che si differenzia dalle altre – dice – perché più umana che razionale. E gioca fra individualità e leggerezza. Dialogando con la natura e con i villaggi intorno con grande semplicità». Luoghi, su questo tratto di Costa Azzurra, capaci di attirare artisti fra i più eccentrici e liberi e i protagonisti di società fra le più chic e sofisticate. «Eppure entrambi qui si siederebbero allo stesso tavolo a mangiare pane e vino come se niente fosse».
«Puoi vedere così in questa sfilata la stessa donna capace di vivere esperienze diverse o anche mettere insieme mondi diversi» continua aprendo per un attimo la porta sulla sua visione della moda dove le parole «brutalità», inteso come «Vorrei che anche la cliente che di solito frequenta l’atelier e veste dunque l’esclusività della haute couture (l’atelier e il fatto a mano ndr) sia attratta anche per esempio dalla Cruise che sono abiti pronti per essere indossati subito». Non lo dice lo stilista ma è come se fosse sottintesa l’idea che la moda debba essere più libera e giocosa, che potrebbe essere scontato parlando di altre maison, ma non se si tratta di Dior specie se l’impegno è realizzarla nel rispetto degli archivi di monsieur: «Il concetto alla base non è assolutamente pesante, ma al contrario è leggero, giovane e questa leggerezza si traduce alla lettera nella collezione, donandole la sua freschezza. La maggior parte delle costruzioni architettoniche – spiega entrando nel tecnico – dei capi trae ispirazione direttamente dai cappotti di Christian Dior, ma in questo caso i tessuti pesanti sono usati come pezzettini di un collage e applicati su altri abiti».
Pezzi necessariamente semplici perché liberi; funzionali perché leggeri e impeccabili perché tagliati «couture»: la linea Bar (vita stretta e svasatura) e tessuti (croquet e ricami e lurex e pellicce tricot) e stampa artistiche (omaggio a cielo e mare) che ben si sposano con il luogo. Una metafora senza sottotitoli. E con efficace colonna sonora: quell’esprit del sud della Francia con tocchi vichy, gambe nude, scarpe basse, plissè, maglie, righe come onde lucciccanti. Tutine e bluse da pittore, costumi da bagno e abiti da sera, tagliati di sbieco. Nessun facile riferimento ai Sessanta o Settanta, a Coachella o al rock, ma una visione in progress della moda. Sguardo avanti e non indietro. Che di questi tempi non è così scontato. Sono in molti «databili» ultimamente. Pochissimi senza tempo: «Mi piace riscoprire le fondamenta ma poi costruire sopra qualcosa di mio – continua la stilista –. Ambisco alla modernità e a un futuro che sia anche l’oggi ma non il passato. Penso ancora all’haute couture, che è stata per me una scoperta che all’inizio guardavo anche con un certo scetticismo (Simons è in Dior dal 2012 e prima non aveva mai affrontato l’alta moda ndr) ma ora è diventata la mia sperimentazione. Ebbene nell’ultima collezione ho raccontato gli stili di tre secoli e c’è chi ha riconosciute nelle scarpe un’epoca e invece era un’altra, insomma esplorare per reinventare. E adoro che i miei capi non siano databili». Arte e architettura e natura, allora e la collezione si tuffa nel futuro con la stessa audacia di quando
la spettacolare costruzione che la ospita venne inaugurata (ci vollero nove anni, dal 1975 al 1984 per realizzarla fra mille difficoltà e perplessità) dal suo geniale architetto, quel Antii Lovag inventore dell’abitologia e che oggi è di proprietà di un visionario non da meno, quel Pierre Cardin che fu tra i pochissimi a lavorare agli inizi con monsieur Dior. E tutto torna. Cardin è fra gli ospiti in casa sua dopo averla svuotata di tutti gli arredi e le opere e le collezioni: «Sono stato più che onorato quando Raf mi ha chiesto di poter sfilare qui. Perché la sua moda è proprio come le Palais Bulles, sofisticata e primitiva, leggera e di sostanza. Abiti con i quali una donna può andare per il mondo conservando la sua individualità come questa casa che integrata in un villaggio della costa ma resta unica». Applaudono sedute sui minuscoli pouf allineate seguendo le curve delle stanze e delle piscine a sfioro sul tramonto Chiara Mastroianni e Marion Cotillard, Dakota Fanning e Lucie de la Falaise. Donne bellissime, ma Raf Simons cosa ama di loro? «Tutto e tutte. Perché? Perché sono forti, più degli uomini e belle e uniche». Sorride, sincero. Lui che di solito per timidezze e profondità è serioso e pensieroso.
Sidney Toledano, il carismatico ad della maison, è invece un libro aperto e si capisce lontano un miglio che è soddisfatto del couturier belga a tre anni dalla nomina: «Raf ha fatto un gran lavoro sugli archivi traducendoli in una modernità assoluta grazie a lavorazioni e tessuti». I conti, anche in questo caso tornano: «Anche il mercato italiano, per esempio, inaspettatamente è cresciuto per il turismo certo ma anche per i residenti». Investimenti? «Ora sono sulla qualità delle nostre boutique piuttosto che sulla quantità, ora. Dunque formazione del personale: e i risultati sono sorprendenti».