Buy e l’attesa del Festival: Nanni può essere vincente
«La Francia ama la sua grande autonomia di pensiero In Italia divide perché si espone anche politicamente»
Il selfie Woody Allen con la moglie SoonYi non sembra divertersi per il selfie sul tappeto rosso Gomitolo La star della tv e scrittrice russa Elena Lenina ha sfilato con una acconciatura a forma di gomitolo corso degli anni. E’ una persona che ci tiene a far bene. Qui c’è stato un lavoro duro, bello, faticoso sull’inadeguatezza di fronte al dolore, che ha preso molto tempo».
Riesce a contraddirlo sul set?
«Ci sono momenti di ironia, di rabbia, a volte posso essere più scontrosa di lui. La cosa bella è che siamo sempre riusciti a ripartire da capo. Non siamo amici, ci vogliamo bene ma non ci siamo mai frequentati, ci conosciamo da anni».
E’ un film autobiografico, lei interpreta una regista ed è il suo alter ego: in che modo è stata aiutata da lui?
«E’ un regista che parte sempre da se stesso, poi intorno elabora altro. Qui c’è qualcosa di estremo. Ma non è che siccome racchiude una vicenda privata, sia più personale di altri suoi film. C’è una ricerca continua di verità dietro a questi sentimenti».
Quale film vorrebbe vedere a Cannes?
«Quello con Cate Blanchett, Carol. Mi ha colpito la sua confidenza di avere amato alcune donne, perché ho un film di Maria Sole Tognazzi con Sabrina Ferilli su questo tema. E’ un tipo di confessioni un po’ americane. Sì lo so che va di moda tra le ragazze avere amori saffici, io detesto le cose di moda».
Al Festival è mai stata da spettatrice?
«Mai. Ci si va per un film, fai il pieno di interviste per due giorni e ti riportano via. Non le vivo più come una tortura, ho imparato a essere rilassata».
Già scelto l’abito per stasera?
«Mi fido di Armani. Ci ho pensato poco, sono puritana su queste cose, del tappeto rosso è meglio non farne una malattia».
«Mia madre» da noi ha incassato poco? Non sono un produttore, forse il tema spaventa
Per spiegargli cosa voleva da lui ha usato, via Skype, solo sette parole. E anche adesso, a film terminato e in gara al festival, Colin Farrell non è certo di aver capito dove Yorgos Lanthimos, il regista di The Lobster volesse andare a parare. «Non avevo mai letto un copione così magico e insieme disturbante. Ma non saprei dire di cosa tratta, non più di voi che l’avete visto. A parte la sensazione di profonda solitudine di cui è permeato e che mi è rimasta addosso. Il cuore del film per me è nella difficoltà a stare da soli». Nel film è David, architetto vedovo, costretto come gli altri single a trovare un nuovo partner entro 45 giorni pena la trasformazione in animale. Un’aragosta, nel suo caso, «perché vive più di cento anni, e vive nel mare». Nell’hotel regolato da leggi rigidissime (la punizione per chi si masturba è una mano nel tostapane) gli fa compagnia un cane. Ovvero, suo fratello. Una storia che lo ha commosso molto, confessa. «Anche se non ci sono i picchi emotivi o le convenzioni drammatiche a cui le sceneggiature che leggo mi hanno abituato trovo che The Lobster arrivi dritto al cuore». In forma smagliante, a dispetto della pancetta che ostenta nel film insieme a occhiali da miope e baffetti, il dublinese Farell, new entry nel cast della seconda stagione della serie tv di True Detective, grazie a Lanthimos si è goduto il lusso di tornare a girare nella sua Irlanda. «Una gioia assoluta, non mi capitava da tempo. I luoghi scelti da Yorgos sono tra i posti più belli del mondo».
Lì tra laghi e boschi sorge l’albergo dove i protagonisti vivono come in una prigione, oppressi e controllati in ogni loro atto. Intorno il bosco dove fuggono i «solitari», salvo ritrovasi in balia di altre regole (compresa quella che vieta le relazioni sentimentali) dettate da un’implacabile Léa Seydoux. Se Farrell si trovasse di fronte alla scelta della distopia di The Lobster — essere trasformato in animale, fuggire tra i solitari o tentare la ricerca dell’anima gemella nell’albergo degno di un film dell’orrore — dice non avrebbe dubbi. «Andrei nell’hotel». Un modo per dire di credere all’amore. Perché, la sua partner Rachel Weisz (che vedremo tra pochi giorni in Youth di Sorrentino) non ha dubbi, «è un film romantico con la R maiuscola, come i film di una volta».
Con Moretti non siamo amici, ci vogliamo bene ma non ci siamo mai frequentati Insieme abbiamo fatto un lavoro duro e faticoso sull’inadeguatezza di fronte al dolore