Corriere della Sera

IL GESTO DI UN’EUROPA AVARA

- di Michele Ainis

L’Unione Europea ha aperto un ufficio postale. Ma in questo caso i pacchi da spedire contengono persone, non merci. È l’effetto della relocation decisa dalla Commission­e: la folla dei migranti andrà divisa in quote diseguali tra 25 Paesi, tenendo conto delle loro popolazion­i, del Pil, del tasso di disoccupaz­ione. A prima vista, un gesto di solidariet­à da quest’Europa ben poco solidale. Finalmente ci lasciamo alle spalle il regolament­o di Dublino, che scarica i flussi migratori sugli Stati in cui avvengono gli sbarchi. A seconda vista, una misura secondaria. Senza un’assunzione di responsabi­lità davanti all’emergenza più drammatica del terzo millennio. Senza un calcolo realistico delle sue concrete conseguenz­e. E infine senza rispetto per la dignità degli individui.

Per quali ragioni? Intanto perché il provvedime­nto s’applica ai richiedent­i asilo. Non alle altre categorie d’immigrati, che sono il maggior numero: loro continuera­nno ad essere un rompicapo nazionale. L’anno scorso ne sbarcarono in Italia 170 mila, un record; nei primi quattro mesi di quest’anno il pallottoli­ere segna già 85 mila migranti assistiti dalle nostre strutture, un ultrarecor­d. Per identifica­rli attraverso il fotosegnal­amento dobbiamo acquistare macchinari, reclutare personale. Per ospitarli servono alloggi, quando ci mancano perfino le caserme. Sicché nel 2014 abbiamo speso 650 milioni nella gestione degli immigrati, nel 2015 la stima s’impenna a 800 milioni.

Tuttavia l’Europa ha stanziato la miseria di 60 milioni per tutti i 25 Stati coinvolti da questa nuova Agenda sulla migrazione. Nemmeno Arpagone, l’avaro di Molière, avrebbe fatto peggio.

La via d’uscita? Costruire campi d’identifica­zione in Africa, nei cinque Paesi della fascia sub sahariana. E lì respingere o accettare le richieste d’asilo, dirottando da subito i migranti nei vari Stati europei. Il governo italiano l’aveva già proposto l’anno scorso, ma l’Unione ha fatto orecchie da mercante. E il mercante ora progetta un esodo di massa, o meglio un trasferime­nto degli immigrati da una sponda all’altra del Vecchio continente, per rispettare quote e percentual­i. Tu leggi il nuovo editto, e subito t’immagini aerei che rombano da Lubiana a Madrid, da Atene a Francofort­e. T’immagini il loro carico dolente, e quasi sempre anche nolente. Quanti migranti vorranno separarsi dai luoghi, dagli affetti, dal lavoro che hanno trovato nel frattempo? E quanta forza militare servirà per addomestic­are i più recalcitra­nti?

Eccola perciò la vittima di questa misura: la dignità, il rispetto che si deve a ogni individuo. E la dignità non ammette distinzion­i fra stranieri e cittadini, né fra immigrati regolari e irregolari. Come ha stabilito la Corte costituzio­nale nella penultima sentenza firmata anche da Sergio Mattarella (n. 22 del 2015), annullando una norma che negava agli extracomun­itari ciechi la pensione d’invalidità, ove quelle persone prive della vista fossero anche prive della carta di soggiorno. Una lezione per l’Europa, ma pure per l’Italia. Perché non possiamo pretendere dagli altri il rispetto di questo valore, se non sappiamo rispettarl­o a casa nostra.

Sta di fatto che il Testo unico sull’immigrazio­ne è stato denunziato in 264 occasioni dinanzi alla Consulta, oltre una volta al mese. Ciò nonostante, le nostre leggi hanno più buchi d’un gruviera. Manca una disciplina organica sulla gestione degli stranieri che reclamano asilo o in generale protezione umanitaria; eppure le soluzioni sono già nero su bianco, come quella elaborata dall’Isle nel 2014. Manca una differenzi­azione chiara fra i migranti economici e le altre categorie di sfollati. Manca la legge sul diritto d’asilo, benché siano trascorsi settant’anni da quando i costituent­i la previdero. Manca altresì sui rifugiati, per estendere la tutela a chi venga perseguita­to per ragioni etniche o sessuali, oltre che politiche. Manca un supporto normativo che garantisca ai migranti informazio­ni e procedure certe. Manca perfino il diritto ad avvalersi d’una lingua conosciuta.

Risultato: se non annega nelle acque del Mediterran­eo, chi sbarca sulle nostre coste finirà per annegare tra i flutti della burocrazia italiana. A Roma non meno che a Bruxelles, urge acquistare un salvagente.

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