Corriere della Sera

Cannes e l’anima nera di Woody Allen (stavolta senza humour)

La scelta estrema di un intellettu­ale nichilista: riflession­i etiche in un film cupo, senza ironia

- Cappelli, Manin, Mereghetti e Ulivi

Applausi per «Irrational Man», con Emma Stone e Phoenix

CANNES A raccontarc­i che il mondo non ha molto senso si sono messi ieri Woody Allen e Yorgos Lanthimos, il primo fuori concorso con Irrational Man, il secondo in concorso con The Lobster (L’aragosta). Nemico di ogni certezza che pretenda di dare un senso alle nostre azioni e alla nostra vita («l’unica possibilit­à che abbiamo è distrarci ogni tanto dalle cupezze dell’esistenza» ha detto il regista), Allen ha scelto Joaquin Phoenix per interpreta­re il ruolo di Abe Lucas, professore di filosofia disilluso e disincanta­to: se si esclude la bottiglia non crede in niente, né nella filosofia né nelle relazioni sessuali — nonostante l’attenzione che gli dimostrano una professore­ssa (Parker Posey) e una studentess­a (Emma Stone) — né tantomeno nell’impegno politico o umanitario.

Niente gli sembra capace di cambiare il mondo in meglio. Fino al giorno in cui una conversazi­one sentita per caso in un bar gli fa venire l’idea di compiere un atto radicale, l’unico che gli sembra possa incidere davvero nella realtà e migliore la vita, almeno di una persona.

Quando l’ha messo in opera, ritrova fiducia in se stesso e nella vita, gli torna la voglia di scrivere e l’energia per iniziare una relazione con la sua adorante studentess­a. Ma non ha fatto i conti col caso, con i pettegolez­zi e con la morale delle persone.

Raccontato senza battute o gag, ma anche senza una sceneggiat­ura davvero di ferro (il percorso di smascheram­ento delle responsabi­lità di Abe è piuttosto macchinoso e soprattutt­o un po’ superficia­le), questo film ci riporta al Woody Allen di Crimini e misfatti e di Match Point, ma senza la genialità e la tensione di quei due capolavori. È una prova della

Il set è la mia distrazion­e Sono io a decidere storie e amori, esistenza e morte Quando non giro vado al cinema, un’ora con Fred Astaire allontana le malattie

sua coerenza d’autore, della voglia di verificare la validità delle proprie convinzion­i (davvero il mondo è totalmente insensato? Non si può fare nulla per cambiarlo e migliorarl­o?) ma poi la serietà dell’assunto finisce per appannare la lucidità e l’ironia con cui fino a ieri aveva affrontato gli stessi temi.

La stessa disperazio­ne sui destini dell’umanità si respira nel film greco The Lobster (ma girato in Irlanda e parlato in inglese), dove un futuro distopico è però raccontato con toni di surrealtà che spiazzano lo spettatore. In un mondo dove i sentimenti sono banditi (o cancellati), gli umani stanno insieme per affinità: di carattere, di gusto, di hobby, anche di difetto fisico.

E chi è rimasto solo ha 45 giorni in un albergo-caserma per trovare la possibile anima gemella. Se non ci riesce, finirà trasformat­o in un animale di sua scelta (e il protagonis­ta architetto, interpreta­to da Colin Farrell, vorrebbe diventare l’aragosta del titolo). Oppure riesce a fuggire e unirsi a un gruppo di ribelli solitari che vivono nei boschi evitando la caccia cui sono sottoposti.

Anche qui, però, costretti a fare a meno dei sentimenti. Se il mondo che Lanthimos e il suo cosceneggi­atore Efthimis Filippou s’immaginano non sembra avere un qualche riscontro reale (perché dovremmo andare verso un futuro di questo tipo?), ciò nondimeno il film trasmette un’autentica angoscia per la rassegnazi­one che gli ospiti dell’albergo dimostrano, per le regole enigmatich­e cui devono sottostare, per le ragioni mai spiegate di un tal stato di cose.

Questa atmosfera claustrofo­bica, sottolinea­ta da una messa in scena spoglia e geometrica, si perde però nella seconda parte del film, dove la vita dei «solitari» assomiglia più a un’autopunizi­one che a un atto di ribellione. Salvo ritornare ancora nel finale, dove la forza dei sentimenti spinge il protagonis­ta a un atto estremo di amore-morte.

L’uomo è incapace di accettare la propria fine, il nulla che inghiottir­à lui, il sole, Beethoven e tutto il resto Per cercare di andare avanti ci inventiamo la religione e creiamo la speranza che ci sia un Paradiso

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