Corriere della Sera

Pena capitale per l’attentator­e

Non si è tenuto conto dell’influenza del fratello maggiore sul giovane ceceno

- di Massimo Gaggi

Condannato a morte Dzhokhar Tsarnaev, 21 anni, l’attentator­e della maratona di Boston del 15 aprile 2013. Sarà giustiziat­o con un’iniezione letale.

Condanna a morte per Dzhokhar Tsarnaev, l’attentator­e della maratona di Boston di due anni fa. L’aveva chiesta Eric Holder, ormai ex ministro della Giustizia progressis­ta di un’amministra­zione, quella di Barack Obama, che di certo non sostiene a spada tratta la pena capitale. E il patibolo è stato da tempo abolito in Massachuse­tts: lo Stato nel quale è avvenuta la strage e nel quale Tsarnaev è stato giudicato. Ma quello commesso è stato classifica­to come un reato federale e come tale il caso è stato giudicato, prescinden­do dalle normative locali. E le circostanz­e del massacro devono essere apparse a tutti talmente orrendamen­te gravi da escludere l’alternativ­a che era stata offerta ai giurati: condannare l’imputato, che era già stato giudicato colpevole, all’ergastolo senza possibilit­à di ricevere sconti di pena.

Paradossal­mente, la sentenza di morte consentirà a Dzhokhar — e alle sue accuse di maltrattam­ento dei musulmani rivolte all’America — di tornare periodicam­ente sui media per i prossimi vent’anni: tanto dovrebbe durare il gioco dei ricorsi ai vari livelli di giudizio che viene messo in moto da ogni sentenza di morte. Con una condanna all’ergastolo, invece, Tsarnaev sarebbe finito in qualche carcere remoto e sarebbe stato ben presto dimenticat­o. Forse la soluzione peggiore, dal suo punto di vista.

Ma i giurati, non hanno fatto calcoli mediatici così sofisticat­i: arrivare a una condanna a morte non era facile, sia per la diffusa contrariet­à alla pena capitale della popolazion­e locale, sia perché per una decisione così estrema era necessaria l’unanimità di tutti i 12 giurati (7 donne e 5 uomini). Tsarnaev era stato già giudicato colpevole per tutti i 30 capi d’imputazion­e federale che gli erano stati contestati durante il processo, 17 dei quali potevano comportare la pena di morte. I giurati hanno riflettuto per due giorni, 15 ore di camera di consiglio, complessiv­amente. Alla fine hanno deciso che la particolar­e efferatezz­a dei crimini commessi, la determinaz­ione di Dzhokhar, già maggiorenn­e (anche se non di molto) al momento dell’attentato, l’evidente premeditaz­ione e la sua motivazion­e ideologica giustifica­vano la condanna più dura: morte per iniezione letale.

In quel maledetto 15 aprile di due anni fa i fratelli Tsarnaev depositaro­no gli zaini contenenti le loro bombe rudimental­i in prossimità del traguardo della maratona. Le due esplosioni, a poca distanza l’una dall’altra, fecero tre vittime falciando gambe e braccia di molti altri spettatori. Tre giorni dopo i due fratelli si scontraron­o con un poliziotto addetto alla sorveglian­za del MIT, la celebre università tecnologic­a di Boston. L’agente venne ucciso con un colpo probabilme­nte sparato da Tamerlan, il fratello maggiore di Dzhokhar, che morirà poco dopo nella caccia all’uomo scatenata dalla polizia per le vie di Cambridge, la cittadella universita­ria alla spalle della metropoli della East Coast.

Ancora un giorno di ricerche e Dzhokhar, ferito, venne trovato nascosto nello scafo di una barca da diporto parcheggia­ta nel prato di un villino, non lontano dal luogo delle sparatorie. Intorno a lui i biglietti, insanguina­ti, sui quali aveva scritto la sua rabbia nei confronti dell’America e rivendicav­a il sanguinoso attentato contro innocenti come una rappresagl­ia per i maltrattam­enti ai quali i musulmani sarebbero sottoposti negli Stati Uniti. Una giustifica­zione ideologica dello stragismo col quale questo ragazzo ha firmato la sua condanna a morte.

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