Liguria e Campania, le mosse di Renzi «Chi lascia ha ingannato gli elettori»
Il premier mobilita il partito ed esclude tentazioni elettorali. «Blindati fino al 2018»
Matteo Renzi continua a dire che «le Regionali non sono un test per giudicare l’azione di governo», ma anche lui sa che, inevitabilmente, il risultato del voto di fine maggio influirà sulla politica nazionale.
Tanto più che altre consultazioni non sono alle porte. Il presidente del Consiglio, pur avendo ottenuto l’Italicum, non ha intenzione di andare all’incasso subito, interrompendo prematuramente la legislatura: «Si andrà avanti sino alla fine, la maggioranza è blindata di qui al 2018».
E non sarà certo la situazione economica a fargli cambiare idea. Anzi: «L’Italia si sta riprendendo davvero». L’unico elemento che potrebbe indurre il premier a mutare opinione non dipende da lui. Ed è l’eventuale arrivo sulla scena politica di un altro protagonista in grado di competere elettoralmente con Renzi. Allora il presidente del Consiglio potrebbe avere la tentazione di far saltare il tavolo prima che si organizzi un’alternativa alla sua leadership.
Ma, alle viste, finora, non c’è niente di tutto ciò. «Forza Italia — ragiona il premier con i fedelissimi — sta esplodendo e Salvini e Grillo, che vengono dati alti nei sondaggi, non rappresentano un’alternativa di governo credibile».
Se questo quadro conforta non poco il presidente del Consiglio, non altrettanto può dirsi di quello regionale. In Liguria la sinistra dissidente, i fuoriusciti dal Pd e il mondo grillino si stanno saldando. Anche chi sta ancora dentro il partito, come Stefano Fassina, non ha problemi ad ammettere pubblicamente che se dovesse votare in quella regione opterebbe per il civatiano Luca Pastorino e non per la candidata ufficiale del partito Raffaella Paita.
La Liguria è una regione difficile, dove il numero dei pensionati è alto e i docenti sono tutt’altro che pochi. Perciò la grana della sentenza della Corte costituzionale sulla previdenza e il muro contro muro sulla scuola non ci volevano proprio. Renzi, però, non dispera di calmare le acque almeno sul secondo fronte, benché non voglia cambiare l’impostazione della « sua » riforma: «Possiamo approvare questo provvedimento anche al Senato, senza mettere la fiducia, ritengo che con qualche modifica si possa contenere il dissenso dei “nostri”».
Anche per questa ragione due esponenti della maggioranza del Pd, le deputate Anna Ascani e Simona Malpezza, ieri si sono fatte vedere alla manifestazione sulla scuola indetta dalle organizzazioni sindacali. Naturalmente, la prudenza di Renzi, in questa fase di campagna elettorale, non equivale a un cedimento a Cgil e Cisl. E infatti la battuta che circolava ieri a Palazzo Chigi a proposito della manifestazione era questa: «C’erano più parlamentari che sindacalisti».
Tra le regioni in ballo c’è anche la Campania. Oggi il premier non sarà a Napoli, perché ha ritenuto di annullare gli impegni presi in quella città: «C’è stata una strage, non mi sembra il caso di tagliare nastri», ha spiegato ai collaboratori. Il caso degli impresentabili nelle liste che appoggiano Vincenzo De Luca è comunque un problema per Renzi, dal momento che l‘attenzione mediatica si è tutta incentrata su questo. «Noi avevamo depennato dalle file dei candidati del Pd tutti i casi discutibili e nottetempo si sono inventati delle liste piene di gente che io non voterei mai » , è stato lo sconsolato commento del presidente del Consiglio.
Ma questa è la situazione e con questo stato di cose Renzi deve fare i conti. Perciò, il premier in questi giorni sta invitando gli esponenti del Pd che hanno una buona immagine e una certa presa presso l’elettorato del centrosinistra ad andare sia in Liguria che in Campania per sostenere i candidati «democrat».
Renzi teme che i « vecchi big» e una certa minoranza che «ragiona solo in termini di corrente» giochino la partita di far perdere il Pd per «intaccare l’immagine del governo, del partito e, soprattutto, la mia». E se la prende con quelli che hanno lasciato i «Democrat»: «Hanno tradito gli elettori». E intanto a Palazzo Chigi si monitorano degli altri che potrebbero andarsene. Magari a pochi giorni dalle Regionali.
Che cosa farà, per esempio, Fassina, dopo che la Camera avrà approvato la riforma della scuola alla quale lega la sua permanenza o meno nel Partito democratico? L’esponente della minoranza ha lasciato intendere che con lui potrebbero dare l’addio anche alcuni circoli del Pd capitolino. Nel Lazio non si vota, ma un’eventualità del genere sarebbe senz’altro una botta all’immagine del Pd di rito renziano.
Il dissidente Fassina ha fatto intendere che insieme a lui potrebbero uscire alcuni circoli pd romani