Corriere della Sera

«La critica del Csm sbaglia bersaglio Il testo è una buona mediazione»

«Dopo una condanna giusto rallentare la prescrizio­ne ma no al congelamen­to»

- Di Dino Martirano

ROMA Analizzata dalla plancia di comando dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruz­ione guidata dal magistrato fuori ruolo Raffaele Cantone, la ricetta del governo per contrastar­e il malaffare dei «colletti bianchi» spazia ben oltre i palazzi di giustizia e il codice penale: «Attendere solo l’effetto salvifico della norma repressiva contro la corruzione è una pia illusione perché un Codice degli appalti fatto bene o una buona riforma della Pubblica amministra­zione contano più 100 interventi sulla sfera penale». Seguendo questa impostazio­ne, però, l’ex pm anticamorr­a Cantone, chiamato da Matteo Renzi all’Anac ad aprile del 2014, ora si ritrova inevitabil­mente in rotta di collisione con i suoi ex colleghi che non fanno sconti all’esecutivo: «Certo, nello stesso giorno, dover argomentar­e sulle prese di posizione del Csm e dell’Anm non è poco...».

Il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, ha detto che «le decisioni adottate dalla politica sulla giustizia sono state troppo spesso caratteriz­zate da timidezza riformatri­ce, incoerenza, scelte di compromess­o nascoste dietro interventi deboli...». È un’invasione di campo da parte del «sindacato» dei magistrati?

«Sono certo che queste frasi sono state estrapolat­e da un contesto. Troppo spesso ho partecipat­o a dibattiti con il presidente Sabelli e le sue posizioni in materia di lotta alla corruzione, per esempio, non mi sono mai sembrate lontane dai contenuti poi inseriti nella nuova legge».

Se la base dell’Anm è in subbuglio, la leadership del «sindacato» è in qualche modo costretta ad alzare la voce contro la politica?

«Stimando Sabelli, vorrei credere che l’analisi sia frutto di dietrologi­a senza fondamento».

La VI commission­e del Csm, presieduta dall’ex gip di Palermo Pier Giorgio Morosini, ha proposto un parere per il ministro in cui gli interventi contro la corruzione sono definiti «sporadici, frammentar­i, insufficie­nti... ».

«Il parere della VI commission­e, un testo che il plenum potrà certamente raffinare, va inteso non solo come critica ma anche come stimolo.Certo, non bisogna essere ingenerosi con questo Parlamento al quale all’inizio nessuno dava credito. Eppure ora abbiamo il reato di autoricicl­aggio, quello di voto di scambio politico mafioso e sono in arrivo il falso in bilancio e gli incentivi per chi collabora per fatti corruzione».

Il suo giudizio sul ddl Grasso riveduto e corretto è positivo, dunque?

«Il testo è buono anche grazie alla mediazione del ministro Orlando. Ci potrebbe essere anche qualche migliorame­nto — magari con la previsione dell’”agente infiltrato”, una sorta di microspia vivente diverso dall’agente provocator­e fondamenta­le per le inchieste sulla corruzione — ma il Csm dovrebbe comunque apprezzare lo sforzo di mediazione fatto dal Parlamento. Mi sento di dire che le critiche contenute nel parere della commission­e hanno sbagliato bersaglio».

Sulla prescrizio­ne Anm e Csm puntano all’interruzio­ne della decorrenza dei termini dopo la sentenza di primo grado. Concorda?

«Vado contro corrente. Ma da sempre sostengo che ci vuole un termine temporale fisso — fatti salvi l’omicidio volontario e la strage — oltre il quale non è ragionevol­e per lo Stato processare un soggetto che magari è profondame­nte cambiato nel corso degli anni. È il principio della ragionevol­e durata del processo, per cui in caso di condanna di primo grado o in appello è giusto ipotizzare un rallentame­nto della prescrizio­ne, più che un suo congelamen­to».

Sulla prescrizio­ne della corruzione veniamo dall’anno zero con 7,5 anni (legge Cirielli) poi portati a 10 per celebrare processi molto complessi. Dove va posizionat­a l’asticella?

«Tornare alla situazione pre Cirielli, 15 anni, o qualcosa di più, è ampiamente ragionevol­e».

Le intercetta­zioni, con tutte le implicazio­ni per la privacy sui terzi non indagati, sono irrinuncia­bili nella lotta alla corruzione?

«Le intercetta­zioni sono uno strumento investigat­ivo molto invasivo ma fondamenta­le per le indagini. Detto questo, ben venga l’udienza filtro nella quale, in contraddit­orio, si selezionan­o le intercetta­zioni penalmente rilevanti e dunque pubblicabi­li».

Gli impresenta­bili alle elezioni: i partiti potrebbero fare di più per garantire liste pulite?

«Ci vorrebbero tre filtri successivi per affrontare un fenomeno certamente non nuovo. Il primo: la legge regola le incandidab­ilità per fatti gravi. Il secondo: un codice etico adottato dai partiti che stabilisco­no davanti agli elettori qual è il livello dell’offerta politica in materia di onorabilit­à dei candidati. Il terzo: regole di opportunit­à politica che inducano a fare attenzione, con le dovute garanzie, se ci si trova davanti parenti stretti dei condannati per fatti gravi e a bloccare operazioni indecenti di trasformis­mo».

E le piccole liste fiancheggi­atrici per le quali molte di queste regole vengono meno?

«In Campania, come altrove, si può vincere o perdere per una manciata di voti. Per per cui le leggi elettorali che favoriscon­o le grandi ammucchiat­e andrebbero stemperate. Nel mio paese, Giugliano, ora si vota per il Comune: da noi sono 500 i candidati inseriti nelle liste».

Sugli impresenta­bili nelle liste servono tre filtri: la legge sull’incandidab­ilità per fatti gravi, il codice etico dei partiti e regole di opportunit­à che inducano a non candidare parenti stretti dei condannati per fatti gravi

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