Corriere della Sera

Le banche preparano la fuga da Londra

Preoccupaz­ioni per il referendum europeo di Cameron. La mossa di Deutsche Bank

- Di Fabio Cavalera

L’accelerazi­one del premier David Cameron sul referendum europeo preoccupa la City, che non vede di buon occhio il Brexit, l’uscita del Regno Unito dalla Ue. Deutsche Bank (9 mila dipendenti a Londra) ha istituito un gruppo di lavoro per valutare l’ipotesi del trasloco dalla capitale britannica. Ma non è il primo tra i grandi istituti di credito a preparare la via di fuga. Con un impatto che per Londra sarebbe pesantissi­mo.

David Cameron accelera sul referendum europeo e promette che il giorno dopo il discorso della regina in Parlamento, il 28 maggio presenterà il progetto di legge sulla consultazi­one popolare da tenersi nel 2017 o forse anche prima. Le mosse di Downing Street vengono seguite con attenzione e preoccupaz­ione nella City che non vede di buon occhio un’eventuale Brexit. Le banche lanciano messaggi chiari.

L’ultima in ordine di tempo è Deutsche Bank che a Londra ha 9 mila dipendenti. Il colosso tedesco, come riferito dal Financial Times, ha istituito un gruppo di lavoro con i top manager che lavorano nel Regno Unito per valutare i rischi della rottura fra Londra e l’Ue e per ipotizzare il trasloco fuori dalla City. Una notizia che va letta come un monito a David Cameron e agli euroscetti­ci. Di fronte allo scenario di un esito referendar­io sfavorevol­e i più grandi istituti di credito non intendono restare passivi. E preparano le vie di fuga.

Nel Miglio Quadrato operano 250 banche mondiali, le più importanti, l’industria finanziari­a occupa 1 milione e 400 mila dipendenti e versa ogni anno 28 miliardi di sterline, il 12 per cento delle entrate fiscali del Regno Unito. L’impatto della Brexit potrebbe essere pesantissi­mo per Londra. Deutsche Bank non è che una delle voci alzatesi in queste settimane: la City ha acceso il semaforo rosso sui piani del governo conservato­re.

La Hsbc, che ha 48 mila dipendenti di cui 9 mila nel suo grattaciel­o a Canary Wharf, il primo istituto del credito britannico, gigante globale con 51 milioni di clienti, ha parlato attraverso il presidente Douglas Flint. E le sue frasi non sono state di certo ambigue. La sostanza è che viene valutato come «meno rischioso» restare nell’Ue lavorando per le riforme del sistema finanziari­o piuttosto che rompere, «data l’importanza che ha il mercato europeo per il commercio britannico». Di fronte alla prospettiv­a del referendum, il consiglio di amministra­zione della Hsbc «ha chiesto al management di esaminare quale è la piazza migliore dove trasferire il quartiere generale».

«Credo che le banche si faranno sentire molto di più che in occasione del referendum scozzese». Questa la «minaccia» di un manager della City riportata in forma anonima dal Financial Times. Se Deutsche Bank, che opera nel Regno Unito dal 1873, e Hsbc sono uscite allo scoperto altri istituti di prima grandezza hanno lasciato filtrare la loro posizione sul referendum Brexit: preferisco­no che la City resti nell’Unione Europea. Si sono mossi in questa direzione anche gli americani di Citigroup e Morgan Stanley che hanno già indicato in Dublino l’alternativ­a a Londra. Una sorta di campanello d’allarme.

Mosse che cercano di mettere pressione su Cameron. Downing Street dice di avere ricevuto un «mandato preciso» dagli elettori e marcia decisa verso l’appuntamen­to del 2017. Ma una parte importante del mondo industrial­e e finanziari­o valuta negativame­nte l’incertezza che potrebbe segnare la lunga attesa. E chiede addirittur­a di anticipare. Se proprio si deve votare, tanto vale convocare il referendum anche il prossimo anno. Allungare i tempi, col dubbio «Brexit sì o Brexit no», per l’economia è un rischio. Meglio contarsi. La City confida nella vittoria del «si» all’Europa.

Uscire dall’incertezza Il mondo finanziari­o contrario al referendum chiede che almeno venga anticipato

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