Corriere della Sera

Trattativa (e accuse) tra democratic­i I renziani: «Minoranza inaffidabi­le»

Bersani e altri 36 votano contro gli sgravi per le superiori non statali

- di Monica Guerzoni

«Noi possiamo decidere che la legge Berlinguer va abrogata e che non ci rappresent­a più, oppure rispettarl­a. Noi rispettiam­o una legge che è stata frutto del lavoro di un governo di centrosini­stra...». Le parole di Anna Ascani, la ex lettiana di 28 anni che ha prestato il suo volto (e la sua grinta) alla riforma della scuola targata Renzi, fotografan­o un Pd diviso sulla sua stessa storia.

A infuocare l’aula della Camera, ieri mattina, è stato lo scontro sullo school bonus, che prevede un credito d’imposta al 65% per le donazioni liberali in favore di tutti gli istituti: pubblici e paritari. Una norma contestata con forza da Sel, dai Cinque stelle e da quella sinistra che i renziani ritengono «già fuori dal Pd». Per Stefano Fassina il «bonus» esteso alle paritarie, senza alcun limite all’ammontare degli investimen­ti privati, sottrae risorse alla scuola pubblica e quindi «non funziona e arreca un danno, un aggravamen­to delle disparità tra scuole».

Segue dibattito ( dai toni piuttosto accesi) su chi abbia inserito le paritarie nel sistema nazionale di istruzione. Parlano in tanti, ma tacciono ex ministri come Bersani che furono protagonis­ti di quella stagione. «La vera truffa il Pd l’ha fatta con il governo D’Alema — accusa Luigi Gallo del M5S —. È il centrosini­stra che ha introdotto i fondi alle private, altro che centrodest­ra!». La Ascani, con sottile perfidia, ricorda che la riforma Berlinguer fu approvata nel 2000 quando a Palazzo Chigi c’era D’Alema: «Mi dispiace dirlo, ma quella legge fu il frutto del lavoro di una coalizione all’interno della quale erano rappresent­anti di Rifondazio­ne, di cui in parte è erede Sel, che oggi ci sta raccontand­o un’altra storia...».

La lettura dei renziani è che la minoranza che dialoga con Sel stia conducendo una «battaglia di retroguard­ia che ci riporta tre lustri indietro», con l’intento di farsi buttare fuori. «Vogliono farsi cacciare, altrimenti Fassina non avrebbe chiesto le dimissioni della Giannini», insinua un deputato molto vicino a Renzi. L’ex viceminist­ro non ha deciso, anche se ormai la via di uscita sembra tracciata. Se non cambiano i pilastri della riforma, chiamata diretta dei presidi e assunzione dei precari, Fassina lascerà il Pd.

I rapporti restano tesi anche con la minoranza guidata da Speranza, che si è sganciata sulle detrazioni alle paritarie di ogni ordine e grado. Nel governo raccontano che l’opposizion­e interna avesse siglato un patto: in cambio dello stralcio del 5%, chiesto a gran voce dalla sinistra, la minoranza si impegnava a ritirare la modifica con cui Andrea Giorgis chiedeva di lasciare fuori i licei dalle detrazioni. Invece l’emendament­o all’articolo 19 è stato messo ai voti ed è stato sì bocciato, ma col voto favorevole di 37 deputati della minoranza.

«Hanno tradito gli accordi», lamentano i renziani. E fanno notare che nell’elenco dei «ribelli » c’è anche Bersani. Lo strappo ha fatto infuriare il Pd, che ha riunito gli addetti ai lavori fuori dall’aula con Rosato, Faraone, Coscia e altri. «Sono inaffidabi­li», è stata la parola più gentile pronunciat­a a porte chiuse. Eppure i vertici del Pd, che hanno tutto l’interesse a placare gli animi prima del voto finale, hanno «venduto» lo stralcio del 5 per mille come una mediazione con la minoranza. D’altronde le perplessit­à su quella norma, che potrebbe anche non tornare nella prossima legge di stabilità, sono largamente condivise. Intanto perché una parte degli sgravi sarebbe stata finanziata con il fondo della buona scuola e non con risorse aggiuntive, messaggio poco felice da lanciare in campagna elettorale. Poi perché il timore della sinistra, di creare scuole di serie A di serie B, è sentito anche in maggioranz­a. E infine perché, come ha ammesso la Ascani, il governo non è riuscito a trovare «una soluzione condivisa in grado di tutelare il mondo del Terzo settore, che aveva espresso legittime preoccupaz­ioni».

Poche ore e la Camera licenzierà la «buona scuola». Col voto favorevole (o l’astensione) della minoranza pd, quasi al completo. «Come voteremo? Decideremo alla fine — si avvia verso il sì Giorgis —. Cambiament­i importanti ci sono stati».

La conta Sul passaggio finale del testo a Montecitor­io parte dei deputati dem potrebbe astenersi

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