Corriere della Sera

L’istruzione non è solo una legge

- SEGUE DALLA PRIMA Maurizio Ferrera

La chiave di questo passaggio sono le competenze dei giovani, lo spessore e la varietà della loro preparazio­ne culturale. Oltre e forse più delle nozioni, conteranno le abilità logiche e di ragionamen­to, la capacità di riconoscer­e problemi complessi (inclusi i conflitti di valore), la rapidità di apprendime­nto. Ciò richiede un cambiament­o davvero epocale nel modo di fare scuola. I programmi ministeria­li uguali per tutti, la rigida separazion­e fra materie e percorsi, le lezioni ex cathedra, i moduli educativi standardiz­zati: tutto questo va rimesso in discussion­e, per molti aspetti superato. Come ben documentan­o le ricerche della Fondazione Agnelli, in molti Paesi Ue la rivoluzion­e formativa è già bene avviata. Nel Nord Europa la scuola pubblica sta acquisendo un ruolo quasi più importante del welfare. Non solo perché alimenta l’economia della conoscenza, ma anche perché garantisce chance di mobilità per gli studenti più svantaggia­ti. Contrastan­do così quelle spinte verso la polarizzaz­ione fra classi e fasce di reddito che inesorabil­mente si accentuano nelle fasi di transizion­e da un modello economico-sociale a un altro. Consideran­do quest’ultimo aspetto, per l’Italia la scommessa della scuola ha anche un significat­o politico. L’istruzione statale deve continuare ad essere percepita come bene comune di tutti gli italiani. Se invece le classi medie si convincess­ero che la scuola pubblica non fornisce ai loro figli preparazio­ne adeguata al nuovo contesto, il sostegno politico nei suoi confronti si eroderebbe rapidament­e. In base ai confronti internazio­nali, i fattori decisivi per una scuola efficace sono: decentrame­nto e flessibili­tà dell’offerta formativa, responsabi­lità dei dirigenti, qualità degli insegnanti, valutazion­e, attenzione agli studenti svantaggia­ti. E ci sono elementi del progetto governativ­o che vanno in queste direzioni. Certo, restano molti dettagli da chiarire e non è detto che gli obiettivi vengano raggiunti. Occorrerà monitorare, valutare, se necessario correggere la rotta. Per partire con il piede giusto, bisogna però resistere ai richiami della foresta. I sindacati facciano il loro mestiere, ma non pretendano di porre veti. A loro volta, le opposizion­i si dimostrino all’altezza della sfida. Una riforma della scuola non può servire obiettivi di parte o tattiche di posizionam­ento politico. E una riforma deve riguardare l’interesse generale, il sistema Paese nel suo complesso. Quello di oggi e quello di domani.

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