Corriere della Sera

Droga e sesso per l’addio alla madre Come costruire l’identità di un’orfana

- Di Teresa Ciabatti

«Gli adulti con cui sono cresciuta o sono morti o sono spariti » dice Blanca che ha quarant’anni, due mariti, un amante ed è orfana. Nel romanzo Passerà anche questa della spagnola Milena Busquets (Rizzoli, da domani in libreria), la protagonis­ta è prima di tutto un’orfana, nell’orfanità risiede la sua identità. Il padre è morto da anni, la madre appena ieri. Ieri. Oggi. Ora. Il romanzo è il racconto dell’ora, del tempo immediatam­ente successivo alla morte, del presente sospeso dove mamma continua a morire ogni giorno: al balcone della sua camera da letto, sul pontile, nelle stradine del paese.

Lo spazio di questo tempo è la casa di famiglia a Cadaqués — Costa Brava, luogo della giovinezza perduta, della felicità intatta, della madre nell’istante perfetto di mamma, al massimo delle forze e delle energie: non nella decadenza, nella debolezza, nella malattia, quando i ruoli s’invertono e mamma diventa figlia. Blanca sceglie appunto di vivere il subito dopo in quella casa: «Ho deciso di andare qualche giorno a Cadaqués. Sesso, droga e rock & roll. Chi ci sta?» annuncia alle amiche.

Con questa riproduzio­ne artificial­e dell’estate che fu, Blanca mette in scena il vero addio. Fra passato e presente, si sovrappone alla madre. Converge e diverge, tappa dopo tappa, ruolo dopo ruolo (madre, moglie, amante). Il racconto non è la morte della madre, bensì la sospension­e successiva. Blanca che fa sesso, che si perde, la dispersion­e del corpo (e delle ceneri?).

«Che io sappia l’unica cosa che non ti riduce a uno straccio il giorno dopo e allontana momentanea­mente la morte — e anche la vita – è il sesso» dichiara.

A parlare sembra un’adolescent­e. La ragazzina ribelle, sfrenata che è stata, e che ancora è per sua stessa ammissione: «Sono la contraffaz­ione di un adulto». È questa la vera sorpresa del romanzo — atipico, folle, comico, doloroso — di Milena Busquets. Il racconto inedito del lutto che alterna, facendoli coincidere, vitalità a dolore, anche nello stile: nel passaggio naturale, senza frattura, da racconto indiretto a racconto diretto: tu, mamma. Ecco allora che la madre torna di continuo, in una conversazi­one a tu per tu, quasi faccia a faccia, nell’illusione speranza di eternità. Come nel racconto «Profezia» di Sandro Veronesi ( Baci scagliati altrove, Bompiani) dove il narratore crea un tempo precedente, una voce dall’alto, uno sguardo onniscient­e — dunque esiste, un aldilà esiste! — che gli predice cosa succederà: prima la morte della madre, poi quella del padre. Attimo per attimo. «So chi sei, Alessandro Veronesi, conosco l’animo tuo, e ti dico che ti adopererai e ti industrier­ai affinché tuo padre non muoia in un letto d’ospedale (…) ».

È dunque la conquista della trascenden­za. In Frozen — cartone animato Disney — mamma e papà sono la trascenden­za, il castello sulla vetta delle montagne. La ricongiunz­ione delle sorelle, l’inclusione della morte. Perché l’orfanitudi­ne di entrambi i genitori genera una letteratur­a più simbolica,

Così Martin Amis in Esperienza costruisce un’orfanitudi­ne tutta sua, dove la madre è la cugina scomparsa. Sente insomma la necessità di raccontare una seconda assenza oltre quella del padre, per fare di se stesso un orfano totale: «Le due assenze della mia vita». E lui no, non si riconcilia con la morte. Rimane ostinatame­nte al di qua. Blanca invece passa oltre. È l’adolescent­e che, dopo una notte di divertimen­to, sale al cimitero. L’adolescent­e che torna a casa e trova la porta sbarrata. Al di là, la madre, l’adesso in tutta la sua concretezz­a; al di qua la trascenden­za.

La storia è il racconto di questo passaggio, di questo limitar, dove c’è chi indugia ( I miei luoghi oscuri, Ellroy), chi si ostina a non affrontare ( Esperienza, Martin Amis), chi invece supera.

Ecco, Blanca, dopo tanto disperders­i, arriva. A guardare l’alba allora è la donna. «D’un tratto la vedo. Cammina sul molo con la sua maglia scolorita, a quadretti blu, sul costume da bagno, le belle gambe abbronzate sempre piene di lividi, le ciabattine da bambina piccola con i piedi all’indietro, gli occhiali storti, i capelli in uno stato disastroso sotto un berretto seccato dalla salsedine, accompagna­ta dai suoi tre cani — Patum, Nana e Luna — che hanno appena fatto un tuffo, e va felice verso la barca». L’adulta che, ritrovando­la, si separa dalla mamma, mentre il dolore si attenua. È Alessandro — «Profezia» — che ritirando i soldi al bancomat per il badante del padre appena morto, alza gli occhi al cielo «e il cielo sarà nero come un sacco di crine».

È il cuoricino disgelato di Anna — Frozen — che riprende a battere.

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Laura Rovcanin (8 anni), My mother (2015), Saatchi School Prize 2015

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