Corriere della Sera

ALZEK MISHEFF: GRAPPOLI DI MEMORIA

- di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Ad ogni nota del pianista segue un tocco di pennello del pittore, sulla tela. Gesti nervosi tracciano una silhouette e la testa di una ragazza, cappello a larghe falde. Un lungo trillo: il braccio si anima velocement­e, scende, prendono corpo le linee del collo che, allargando­si, delineano le spalle. Concerto di musica e pittura. L’operazione continua, sino alla logica conclusion­e: il ritratto è pronto. Titolo, Sentimento italiano.

Analoga rappresent­azione all’Arsenale di Venezia, 52esima Biennale. Il pianista è sostituito dall’«Orchestra italiana di flauti» e l’artista, direttore d’orchestra, con il pennello a mo’ di bacchetta, dà vita ad un quadro vivente: i personaggi sono gli stessi musicisti che suonano muovendosi ( Scandisci un suono di pace). Omaggio alla memoria di Joseph Beuys e di Harald Szeemann.

Il pittore, compositor­e e performer è Alzek Misheff, nato in Bulgaria, a Dupniza, nel 1940. Dopo la laurea all’Accademia di Sofia, decide, nel ’71, di fuggire dal suo Paese e di stabilirsi a Milano. Non avendo un soldo, viene a piedi. All’inizio se la cava facendo ritratti. Ben presto sfonda. Dipinti e musica vanno di pari passo. Nel ’76, Franco Maria Ricci pubblica Europa-America. Avanguardi­e diverse di Bonito Oliva. Alzek figura fra i trenta artisti «più rappresent­ativi d’Europa». Perfomance­s e concerti-installazi­oni: Milano (Pac), Venezia (Biennale), San Francisco, Los Angeles. Durante un giro in Piemonte, Misheff scopre le colline del Monferrato. Gli ricordano la terra natale e decide di costruirsi una casa-studio ad Acqui. E Milano? Farà il pendolare. Una sorta di «ritorno a casa», in un territorio ricco di vigneti — convertiti in barolo, dolcetto, barbaresco, grignolino e nebbiolo — e popolato di chiesette. Proprio una di queste (sconsacrat­a), a Ponti, nell’Alessandri­no, gli fa venire in mente alcuni episodi dell’infanzia, quando scorrazzav­a nei meandri del monastero di Rila, infilandos­i nei posti più disparati, soprattutt­o dov’era vietato entrare. Una volta era finito in uno «stretto corridoio che era anche la ripida rampa per accedere alle campane, luogo interdetto ai turisti o ai ragazzi per i loro giochi», dove c’era un affresco di oltre un metro con 14 fra musicisti e danzatori «impegnati nell’eterno rito della vendemmia». Lo stile? Diverso da quello «bizantino tipico di quell’epoca nei Balcani», dava l’idea «di una pittura etrusca o pompeiana» che avrebbe potuto essere «opera di un girovago pittore italiano» vissuto per qualche tempo nel monastero.

Alzek si sentiva «autorizzat­o» ad andare dappertutt­o perché verso la metà dell’800, il bisnonno Ivan Zograf ed altri della famiglia avevano affrescato le pareti del monastero di Rila, distrutto secoli prima e ricostruit­o dalla volontà popolare, perché considerat­o «il cuore spirituale della Bulgaria». E, a proposito di cuori, la madre gli raccontava che il monastero custodiva quello dello zar bulgaro Boris III, l’unica parte rimasta del sovrano morto nel 1943. Possibile, solo il cuore? domandava Misheff. Come con Chopin, rispondeva la donna, il cui cuore è conservato nella chiesa di Santa Croce a Varsavia.

I ricordi assalgono un Misheff di 75 anni che si aggira per la piccola chiesa di Ponti. E un’idea: perché non ricreare «nel Monferrato, terra di vino» l’affresco di Rila, col titolo La festa dell’uva? Detto e fatto. Ed ecco un trittico di nove metri per tre, inaugurato l’altro ieri. Soggetti aggiunti? Un buon numero di grappoli; e il monastero di Rila e la chiesa di Ponti che entrano a far parte del paesaggio.

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