Corriere della Sera

«Sicario» piace per grinta e ritmo

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Non pensavo certo toccasse a Cannes, tempio più o meno riconosciu­to del cinema d’autore, difendere il cinema di genere. Ma aver portato all’onore del concorso Sicario di Denis Villeneuve parla da solo: il film è un ottimo poliziesco, girato con grinta e ritmo, con un livello di profession­alità (a cominciare dalla fotografia di Roger Deakins) ineccepibi­le, ma senza quelle qualità di «messa in scena» che bisognereb­be trovare in un film autoriale. La storia segue il bagno di realtà cui deve sottomette­rsi l’idealista agente Fbi Kate Macer (Emily Blunt), aggregata a un nucleo della Cia che combatte il narcotraff­ico messicano senza andare troppo per il sottile. A lei spetta il lato «moralista» del film, con i suoi dubbi e i suoi pregiudizi, a Josh Brolin (disincanta­to agente Cia) e a Benicio Del Toro (ambiguo consulente colombiano) tocca la componente azione + violenza che apre il film — dopo una specie di parentesi «didattica» in una casa-cimitero — con una scena di grande efficacia: il viaggio per portare negli Stati Uniti un capo del narcotraff­ico, detenuto nella prigione di Juarez. Mezz’ora di adrenalina e grande cinema, con il convoglio di auto che parte dalla frontiera americana, entra in Messico e ne riesce con il suo prigionier­o ma deve fare i conti con i killer nascosti lungo la strada. Il resto del film non è tutto a quella altezza ma conferma il grande livello di profession­alità del lavoro. Qualità che mancano totalmente a Marguerite & Julien di Valérie Donzelli, molto atteso per l’argomento — l’amore incestuoso tra un fratello e una sorella — e per le ambizioni, visto che partiva da una sceneggiat­ura che Jean Gruault aveva scritto nel ‘73 per Truffaut. Ispirato alla tragica storia dei fratelli de Ravalet, morti nel 1603, il film che la Donzelli ha riscritto con il suo attore (ed ex compagno) Jérémie Elkaïm, trasporta il tutto in un Novecento senza età, in cui introduce elementi «disturbant­i» (come un paio di elicotteri). L’idea doveva essere quella di sottolinea­re che l’amore è «senza tempo» oltre che «senza limiti» e che il cinema può prendersi tutte le libertà che vuole in nome del proprio statuto artistico. Ma alla fine l’effetto è quello del ridicolo involontar­io, le citazioni — da Jules e Jim a Gli amanti crocifissi — irritano e il film annaspa in un limbo di presunzion­i e velleità. Senza riuscire mai a trasformar­si nell’inno all’amore che avrebbe voluto essere. Sicario di Denis Villeneuve

Marguerite et Julien

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