Corriere della Sera

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- Aurelio Ciccociopp­o

Siete d’accordo a stabilire delle quote in base alle quali distribuir­e i migranti tra i Paesi europei?

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Puntualmen­te, il Corriere — ma non è il solo — dà notizie circa il progetto berlusconi­ano di fondare un nuovo partito di destra (da contrappor­re al Partito democratic­o nel nuovo sistema bipartitic­o che si preannunci­a con l’introduzio­ne dell’Italicum) e di chiamarlo Partito repubblica­no. Nel dare la notizia dei sogni elettorali berlusconi­ani, sarebbe corretto avvertire i lettori che un Partito repubblica­no italiano già esiste, essendo stato fondato nel 1895 sul retaggio storico, politico e culturale dei movimenti risorgimen­tali mazziniani, a partire dalla Giovine Italia e dalla Giovine Europa. In circa 180 di storia,il movimento repubblica­no italiano — sotto diverse insegne partitiche, ma legate da un unico filone storico, condotto da uomini di grande valore intellettu­ale e morale — ha dato al Paese e alla Repubblica determinan­ti contributi di sangue, di idee e di riforme. Nel marzo di quest’anno il Pri ha celebrato il 47° Congresso nazionale, rinnovando i propri organi statutari: Consiglio nazionale, Direzione nazionale e Segreteria nazionale che detiene la proprietà del nome e del simbolo del partito. Il fatto che leggi elettorali incostituz­ionali abbiano contribuit­o a pesantemen­te danneggiar­e e mettere ai margini il Pri non vuole dire che il suo nome possa essere impunement­e utilizzato da chicchessi­a e tanto meno Berlusconi, il quale, se vuole dare un nuovo nome alla propria macchina elettorale, dovrà dar fondo alla sua fertile fantasia e pensare a qualcosa d’altro.

Segretario Sezione varesina del Pri Caro Ciccociopp­o, omprendo i suoi sentimenti. Il partito repubblica­no ha una lunga storia, è stato guidato per molto tempo da una delle personalit­à più brillanti della democrazia

Cpost-fascista (Ugo La Malfa) e, come disse il premier britannico John Major a proposito del suo Paese, «faceva a pugni al di sopra del suo peso». È giusto che vogliate conservare la proprietà del nome e del marchio. Lo fanno anche i proprietar­i di una testata giornalist­ica quando la perdita dei lettori li costringe a interrompe­rne la pubblicazi­one. Ma dubito che il Pri possa sopravvive­re, con il ruolo politico dei suoi momenti migliori, al triplice terremoto da cui il panorama politico italiano è stato sconvolto all’inizio degli anni Novanta: la fine della Guerra fredda, la morte delle vecchie ideologie e la stagione giudiziari­a di Mani pulite. Aggiungo che, a differenza di altri partiti, il Pri può vantarsi di avere realizzato il suo principale obiettivo storico. Quando celebrerem­o, fra un anno, il settantesi­mo anniversar­io della proclamazi­one della Repubblica, gli eredi del Pri avranno diritto a un posto in prima fila.

Quanto a Silvio Berlusconi, caro Ciccociopp­o, l’ex presidente del Consiglio è stato, sin dall’inizio della sua carriera industrial­e, un mago del marketing. Ha capito che le vecchie denominazi­oni dei partiti erano logore e ha aperto l’era dei «brands» ottimisti, entusiasma­nti, promettent­i, accattivan­ti: Forza Italia, Casa delle libertà, il Girasole, l’Ulivo, la Margherita, Rifondazio­ne comunista, Italia dei valori, Rosa nel pugno, Fiamma Tricolore. Oggi, quando parla della sua prossima creatura (il Partito repubblica­no), Berlusconi non pensa al vostro marchio ma a quello di Richard Nixon, Ronald Reagan, la famiglia Bush. È convinto che i prodotti americani si vendano bene, soprattutt­o in un Paese dove la terminolog­ia anglo-americana sta soppiantan­do quella italiana. Sarebbe più facile dargli torto se non fossimo costretti a constatare che la sinistra, per dare un nome al suo partito, ha fatto lo stesso percorso.

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