Corriere della Sera

La satira di provincia che può rovinare la vita

- Di Gian Antonio Stella

La satira può infilzare non solo uomini di potere ma anche cittadini piccoli piccoli? Sì, ha risposto la Corte d’Appello di Venezia. Eppure, sinceramen­te, la sentenza solleva molte perplessit­à. La storia inizia nel 2005 quando Loreta Maria Bertoldi, una signora vicentina impegnata nel volontaria­to, manda una lettera a «Schio», una rivista locale, in cui prende in giro un assessore comunale mettendo «ironicamen­te in risalto il contrasto tra le spese investite dal Comune in “immagine” e la grama figura che lo stesso rimediava quando suoi esponenti interveniv­ano direttamen­te a parole o con scritti». Per dirla con l’avvocato della signora, fa un paragone colto («tratto dai Fratelli Karamazov di Dostoevski­j») con «il re che si prende massima cura delle proprie vesti a discapito di biancheria lisa non proprio immacolata». Un paragone fastidioso: «il giornale veniva ritirato dalla circolazio­ne e sostituito una nuova versione ove, al posto della lettera della Bertoldi, compariva un articolo del direttore del giornale». Censura che solleva, a Schio, non poche polemiche.

Sul numero 225 di aprile 2005 la rivista risponde pubblicand­o, scrive l’avvocato, «una fotografia oscena che raffigura una donna praticamen­te nuda in atteggiame­nto volgare recante stampato a grandi lettere il nome Loretta Bertoldi!» Tesi della donna: «Chi non mi conosce di persona poteva pensare che fossi io». Tesi del giornale: si tratta solo di satira pubblicata in una pagina dedicata alla satira, la foto non è della signora Bertoldi e lei figura come l’autrice di un libro, dati i riferiment­i alla biancheria, intitolato «Mutatis mutandis». Tutto qui.

Persa la causa in primo grado, il settimanal­e l’ha vinta in appello. Secondo i magistrati (due su tre donne) la Cassazione ha riconosciu­to che «diversamen­te dalla cronaca, la satira sottratta al parametro della verità in quanto esprime mediante il paradosso e la vita surreale un giudizio ironico su un fatto». Purché non ci sia «un’aggression­e gratuita distruttiv­a dell’onore e della reputazion­e del soggetto interessat­o». E non fu lesa la reputazion­e della signora Loreta? No: «solo un, probabile, fraintendi­mento da parte di quest’ultima».

Per carità, sarà senz’altro una sentenza correttiss­ima. In una grande città. Ma episodi così, in piccole realtà di provincia, possono rovinare una vita… In ogni caso: si possono impiegare dieci anni per un primo e un secondo grado in quella che si definisce «la regione locomotiva d’Italia»?

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