La satira di provincia che può rovinare la vita
La satira può infilzare non solo uomini di potere ma anche cittadini piccoli piccoli? Sì, ha risposto la Corte d’Appello di Venezia. Eppure, sinceramente, la sentenza solleva molte perplessità. La storia inizia nel 2005 quando Loreta Maria Bertoldi, una signora vicentina impegnata nel volontariato, manda una lettera a «Schio», una rivista locale, in cui prende in giro un assessore comunale mettendo «ironicamente in risalto il contrasto tra le spese investite dal Comune in “immagine” e la grama figura che lo stesso rimediava quando suoi esponenti intervenivano direttamente a parole o con scritti». Per dirla con l’avvocato della signora, fa un paragone colto («tratto dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij») con «il re che si prende massima cura delle proprie vesti a discapito di biancheria lisa non proprio immacolata». Un paragone fastidioso: «il giornale veniva ritirato dalla circolazione e sostituito una nuova versione ove, al posto della lettera della Bertoldi, compariva un articolo del direttore del giornale». Censura che solleva, a Schio, non poche polemiche.
Sul numero 225 di aprile 2005 la rivista risponde pubblicando, scrive l’avvocato, «una fotografia oscena che raffigura una donna praticamente nuda in atteggiamento volgare recante stampato a grandi lettere il nome Loretta Bertoldi!» Tesi della donna: «Chi non mi conosce di persona poteva pensare che fossi io». Tesi del giornale: si tratta solo di satira pubblicata in una pagina dedicata alla satira, la foto non è della signora Bertoldi e lei figura come l’autrice di un libro, dati i riferimenti alla biancheria, intitolato «Mutatis mutandis». Tutto qui.
Persa la causa in primo grado, il settimanale l’ha vinta in appello. Secondo i magistrati (due su tre donne) la Cassazione ha riconosciuto che «diversamente dalla cronaca, la satira sottratta al parametro della verità in quanto esprime mediante il paradosso e la vita surreale un giudizio ironico su un fatto». Purché non ci sia «un’aggressione gratuita distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato». E non fu lesa la reputazione della signora Loreta? No: «solo un, probabile, fraintendimento da parte di quest’ultima».
Per carità, sarà senz’altro una sentenza correttissima. In una grande città. Ma episodi così, in piccole realtà di provincia, possono rovinare una vita… In ogni caso: si possono impiegare dieci anni per un primo e un secondo grado in quella che si definisce «la regione locomotiva d’Italia»?