Corriere della Sera

LA NUOVA CONTESA TRA POTERI

- Di Michele Ainis

L’Associazio­ne nazionale magistrati critica il governo: sulla giustizia riforme timide e incoerenti. La Corte dei conti punta l’indice contro le Province, o meglio contro i ritardi nell’attuazione della legge Delrio, con effetti distorsivi sul bilancio dello Stato. Il Consiglio superiore della magistratu­ra duella con l’esecutivo a proposito delle misure anticorruz­ione. Infine Armageddon, la battaglia totale: quella ingaggiata dalla Consulta, con la sentenza n. 70 che demolisce i conti pubblici. Un bollettino di guerra che si limita, peraltro, a registrare gli scontri dell’ultima settimana. Ma se viaggiamo a ritroso, fin dal battesimo del governo Renzi, le pagine di questo bollettino diventano un trattato militare.

Storia vecchia, si dirà. Dopotutto la rissa fra politica e giustizia costituisc­e il lascito indelebile della Seconda Repubblica. No: storia nuova. Giacché fin qui ne offrivamo due chiavi di lettura, però sbagliando la scelta degli occhiali. Da un lato, Berlusconi, con i suoi conflitti d’interesse, con le sue sfuriate quotidiane contro i giudici. Dall’altro lato, la fragilità della politica, divisa in coalizioni ballerine, incapace d’assumere qualsivogl­ia decisione. È la legge fisica dell’horror vacui, che vale altresì nella fisica delle istituzion­i: se un potere lascia libero il proprio spazio vitale, un altro potere finirà per occuparlo. Da qui la funzione di supplenza della magistratu­ra, da qui il suo ruolo politico. Ma sta di fatto che adesso Berlusconi è ridotto all’impotenza, che il governo esprime viceversa una leadership potente, e tuttavia fra politica e giustizia volano ceffoni. Come prima, più di prima.

Dev’esserci perciò un’altra spiegazion­e, un’altra causa di questa malattia degenerati­va. Non è troppo difficile scoprirla: basta fissare gli occhi su ciò che rimane immobile nel nostro calendario, sugli elementi del passato che si riflettono pari pari nel presente. Quali? La crisi economica, la diseguagli­anza che morde al collo le categorie più deboli, il deficit di Stato. Sta tutta qui la radice dello scontro. Perché i giudici sono sentinelle dei diritti, è questa la loro specifica missione.

Ma i diritti costano. Non soltanto i diritti sociali: sanità, istruzione, previdenza. Anche le libertà tradiziona­li espongono un cartellino con il prezzo, anche la sicurezza, dato che per garantirla bisogna garantire lo stipendio dei poliziotti o dei pompieri. Decidendo sulla tutela dei diritti, il potere giudiziari­o finisce quindi per decidere sulla distribuzi­one delle risorse pubbliche, che spetterebb­e viceversa alla politica. Poco male, quando le vacche sono grasse. Molto male, se ne restano carcasse ossute, pelle senza polpa.

Democrazia e crisi economica: ecco la questione. Quanti diritti possiamo ancora permetterc­i? E chi stabilisce la loro gerarchia? Infatti i diritti sono sempre in competizio­ne fra di loro: se proteggo la libertà d’informazio­ne, sacrifico la privacy; se difendo le cavie animali, disarmo la ricerca medica. Ma la nostra società degli egoismi ha generato un’inflazione di diritti — dell’automobili­sta, del militare, dello spettatore, del turista. E ogni volta politica e giustizia bisticcian­o su chi ne sia il tutore. Per uscirne fuori, ciascuno dovrebbe calarsi un po’ nei panni altrui. Serve maggiore sensibilit­à politica nel potere giudiziari­o, serve maggiore sensibilit­à giuridica nel potere politico. E servono canali di comunicazi­one, strutture di collegamen­to. In questo tempo di crisi, anche la vecchia separazion­e dei poteri è diventata un lusso.

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