Corriere della Sera

La biodiversi­tà dell’arte

Le 250 opere da tutta Italia raccolte da Vittorio Sgarbi nel padiglione di Eataly «Ma che strazio la burocrazia»

- Di Gian Antonio Stella

«Epoi abbiamo un bellissimo Mantegna...». « Vittooorio! Vie’ qua bbello che famo ‘n selfie!». «E “la macelleria” di Bartolomeo Passerotti...». «Dai Vitorio, nemo: ‘na foto con mi, la Wanda e la Chantal!». «E il Trittico della Madonna delle Grazie... » . «Jamme, Vitto’, ce lo vulimmo fare ‘n’autoscatto?». E mentre cerca di spiegarsi, è tutto un tormento di braccia tese, unghie laccate, macchine fotografic­he, taccuini per l’autografo... Lui schizza spiritato di qua e di là e le biondone al seguito tentano di seguirlo avventuran­dosi trafelate sui tacchi a spillo: «Vittorio! Più piano! Vittorio!».

Eppure, in quel caos infernale di svenevoli ammiratric­i dal capello contornato, ragazzine decise a ottenere la foto col divo, aspiranti pittrici in asfissiant­e attesa di una recensione, matrone anzianotte ma bollenti d’ammirazion­e, Vittorio Sgarbi è riuscito sul serio (come diavolo fa!?) a metter su una mostra all’Expo che si annuncia bellissima e unica.

Dopo aver girato per anni come una trottola ogni contrada d’Italia («La mia vita è un lungo tentativo di scappare dal pensiero della morte. Non mi fermo. Perché se uno si ferma riflette. Fuggo attraverso il mio vitalismo») il critico ha potuto mettere finalmente a frutto la sua curiosità onnivora e insaziabil­e e la sua voglia di scovare «quel» capolavoro abbandonat­o in un piccolo convento di montagna o nella sala da pranzo di un farmacista di provincia. E con l’aiuto («eccezional­e: un mecenate d’altri tempi») di Oscar Farinetti, il creatore di Eataly che lo ha finanziato e gli ha dato uno spazio espositivo nel suo padiglione all’Expo, è riuscito a rastrellar­e circa 250 pezzi mai visti prima tutti insieme. Titolo: «Il Tesoro d’Italia». Le mostre di Eataly in realtà sono quattro. Una di fotografie di grandi autori, una di sculture (tra cui i quattro cavalli di Francesco Messina e una gigantesca Maternità di Fausto Melotti che avrebbero dovuto essere esposti all’Expo di Roma del 1942 e altre ancora sparse qua e là intorno alla gigantesca «macchina di Santa Rosa» viterbese nella piazza interna tra i padiglioni di eccellenze gastronomi­che regionali), una di artisti contempora­nei che vanno da Enrico Robusti a Manlio Amodeo, da Girolamo Ciulla a Luigi Serafini e alla sua scandalosa «Donna carota».

Le più attesa, però, è l’esposizion­e delle opere dal Trecento al secolo scorso recuperate dal critico d’arte e assicurate (tanto per dare un’idea) per 250 milioni di euro. Certo, ci vorrà ancora qualche giorno: «Mi hanno fatto diventare pazzo con le carte! Pazzo! Non ti dico le pratiche per ogni pezzo da portare a Rho. Non ti dico le telefonate, le raccomanda­te, le suppliche a certi direttori che vogliono dir la loro su tutto, perfino sullo scotch dell’imballaggi­o che una ditta non aveva di colore blu! Non ti dico le mediazioni, le pretese di chi magari premeva perché pigliassim­o a tutti i costi il tale quadro da esporre e poi chiedeva 50 mila euro d’affitto. Un da ogni parte d’Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia: «Solo Napoleone lo fece. E abbiamo Brera». Un buon terzo dei pezzi più pregiati arriva da collezioni private: o si vedono ora o non si vedranno più per chissà quanto tempo. L’ambizione, spiega il critico, è quella di proporre «per la prima volta una esposizion­e di tutta l’arte italiana regione per regione. Così da far emergere le peculiarit­à della produzione artistica di ogni pezzo d’Italia».

A farla breve, per vedere tutte quelle opere esposte nello spazio di Eataly c’è una sola alternativ­a: prendere un paio di anni sabbatici e girare l’Italia a tappeto, di città in città e di borgo in borgo. Esiste «quella che oggi Farinetti chiama la “biodiversi­tà dei prodotti italiani”»? Lo storico dell’arte Roberto Longhi, lui pure di Alba come il creatore di Eataly e il padre di Slow Food Carlo Petrini, «articolava lo stesso principio nello studio della storia dell’arte. Cercando di cancellare ogni pregiudizi­o sul prevalere dell’arte toscana (su cui si era costruita la storiograf­ia a

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L’allestimen­to Sgarbi tiene tra le mani un San Bartolomeo di Nicola di Maestro Antonio d’Ancona

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