Corriere della Sera

I SUCCESSI INTERNAZIO­NALI DI PAPA FRANCESCO DIPLOMATIC­O A SORPRESA

Percorsi Dal ruolo avuto nello scongiurar­e l’intervento militare in Siria, alla mediazione per riavvicina­re Usa e Cuba, sarebbe sbagliato pensare a una strategia studiata a tavolino. Bergoglio segue alcuni principi e si mette in gioco personalme­nte

- di Mauro Magatti

La popolarità di papa Francesco continua ad aumentare: persino negli Stati Uniti ha di recente raggiunto e superato i picchi raggiunti da Giovanni Paolo II. Di fatto, oggi il Papa costituisc­e la principale autorità morale mondiale a cui guardano non solo moltissime persone, credenti e non credenti, ma anche le cancelleri­e di mezzo mondo. Ciò dipende dal fatto che Francesco appare oggi come l’unico leader che, consideran­dosi prima di tutto un pastore (che ama l’odore delle pecore), affronta le questioni, le piccole come le grandi, alla luce di alcuni principi basilari — la centralità della persona umana, l’urgenza della convivenza, la insistente ricerca del dialogo e della pace — che sono proprio quelli che si vorrebbero veder prevalere nella vita personale e collettiva.

È in questa cornice che va letto il rilievo sempre più importante che Francesco sta acquisendo sul piano internazio­nale.

In questi due anni di pontificat­o, il suo ruolo è stato risolutivo nello sbloccare alcune delicatiss­ime situazioni. Nel settembre 2013 è stata proprio l’iniziativa vaticana che ha permesso di scongiurar­e l’ormai imminente intervento militare in Siria. Muovendosi con accortezza e coinvolgen­do anche la Russia di Putin, Francesco ebbe un ruolo decisivo nel far cadere un’ipotesi certamente assai problemati­ca. Nel corso del 2014, il Papa è stato un protagonis­ta della storica riapertura delle relazioni diplomatic­he tra Usa e Cuba. Come ha confermato il riconoscim­ento pubblico tributatog­li da Obama e Raúl Castro a cui il Papa aveva scritto per facilitare l’intesa. Infine, incontrand­o in autunno la vicepresid­ente Shahindokh­t Molaverdi, Bergoglio ha contribuit­o a svelenire i rapporti con l’Iran, importante premessa dello storico accordo di Ginevra sul nucleare.

Ugualmente importante, anche se non altrettant­o risolutiva, è il suo impegno per trovare una via d’uscita al conflitto che insanguina la Terra Santa. Nella sua prima uscita ufficiale — a parte il viaggio in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù — nel maggio del 2014, Bergoglio, pur avendo provocato non pochi mal di pancia al governo israeliano, riuscì comunque a portare Perez e Abu Mazen in Vaticano per parlare di pace. La foto dei tre intenti a piantare un ulivo rimarrà nella storia. E nonostante le difficoltà che rimangono da superare, il Papa non rinuncia all’idea che la soluzione vada cercata nella creazione e nel reciproco riconoscim­ento di due Stati. L’abbraccio ad Abu Mazen presente in piazza San Pietro per la canonizzaz­ione di due suore palestines­i (fatto anch’esso di elevato valore simbolico) sta a dire quanto Bergoglio sia determinat­o a tenere aperta la strada del dialogo.

In un’epoca in cui il fondamenta­lismo religioso infiamma mezzo mondo, Francesco non si sottrae al dialogo ecumenico, come ha dimostrato l’importante e positivo incontro con il patriarca ortodosso Bartolomeo. Ma senza sconti: come quando ha lanciato un severo richiamo agli ucraini perché non affondino in una guerra fratricida tra i cristiani. L’ormai imminente viaggio a Sarajevo, città simbolo, cuore profondo e sofferente dell’Europa multicultu­rale, crocevia delle diverse religioni e modello calpestato della convivenza, sta ad indicare la volontà di prendere l’iniziativa sul tema delicato della libertà religiosa (irrinuncia­bile anche in ragione del numero impression­ante di martiri cristiani) nel rapporto con un Islam sempre più in subbuglio.

La visita autunnale al parlamento europeo di Strasburgo — sollecitat­o a superare quella cultura individual­istica che secondo il Papa spinge il Vecchio continente verso il suo declino spirituale (come dimostra l’indifferen­za della coscienza europea verso il destino dei migranti che attraversa­no il Mediterran­eo) — e la prossima visita all’Onu, nel settembre 2015, sui temi della sostenibil­ità completano il quadro: sorprenden­do molti critici, il primo Papa non europeo si dimostra capace di uno sguardo globale.

Sarebbe sbagliato cercare nell’azione di Francesco una strategia studiata a tavolino. Bergoglio adotta nella politica estera il principio espresso nell’enciclica Evangelii Gaudium secondo cui il tempo (e i processi che in esso possono avere luogo) conta più dello spazio (e delle sicurezze che apparentem­ente garantisce). È questa la prospettiv­a che consente di decifrare l’azione del Papa, che si mette in gioco ogni volta che vede un margine per contribuir­e a sbrogliare anche le matasse più intricate.

È in questo modo che la Cattedra di Pietro si sta conquistan­do il ruolo prestigios­o di autorità morale a cui si riconosce la legittimit­à di partecipar­e al delicato processo di risoluzion­e dei conflitti globali. Un risultato ancor più straordina­rio se si tiene conto che solo qualche anno fa la Santa Sede rischiava di venire travolta dai corvi e dagli scandali. Nell’era della globalizza­zione multipolar­e, l’intelligen­za e il coraggio del Papa argentino aprono al papato e alla Chiesa cattolica la possibilit­à di una nuova quanto promettent­e stagione.

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