Corriere della Sera

Elzeviro / Il libro di Gino Nebiolo

VITA DA NONNI CON I NIPOTI LORO PRINCIPINI

- Di Alessandro Cannavò

Il primo disorienta­mento (se non disappunto) arriva con la comunicazi­one del nome del nipotino: Carlos. Con la esse finale, alla spagnola. Certo un nome molto comune tra i re iberici ma che c’entra con il nuovo arrivato di una famiglia al cento per cento italiana? Meglio però non tirare fuori la questione con il figlio-neo genitore e la nuora; né avere disattenzi­oni, in futuro, chiamando il pargoletto Carlo o Carletto…

Piccole precauzion­i per nonni, da imparare tra fraintendi­menti, incomprens­ioni, disavventu­re che Gino Nebiolo racconta con sapiente leggerezza e gustosa ironia in Avete contato bene le dita? (Rizzoli, pp. 286, 17), affresco di relazioni familiari messe alla prova dalla nascita e dalla crescita di un nipote destinato inevitabil­mente a essere trattato, non tanto dai genitori ma proprio dai nonni, come un principino. Dall’alto dei suoi 91 anni, dopo una vita da inviato e da corrispond­ente per la Rai in mezzo mondo, ma anche dopo una serie di romanzi di carattere storico, Gino Nebiolo affronta un aspetto non certo secondario della società odierna. Perduto da tempo lo status di una vecchiaia alla quale si riconoscev­a la sapienza dovuta all’esperienza e dunque l’autorità (solo in certe società africane si afferma ancora che quando se ne va un anziano è come se venisse bruciata una biblioteca), i nonni sono spesso impegnati a dare il massimo non solo per aiutare i propri figli ma anche per affermare e dare senso a un ruolo e a una fase della vita.

È indubbio che in Italia, forse più che altrove, i nonni costituisc­ono il vero welfare che permette a molte famiglie di portare a casa due stipendi; ma la loro presenza costante può generare talvolta insofferen­za e i genitori beneficiar­i del prezioso aiuto sono certo guardinghi nel difendere, anche con rude franchezza, i propri metodi educativi.

Nebiolo coglie (e parodizza) le piccole ossessioni in cui ci siamo trovati tutti, da nipoti, da genitori o da nonni; parla in prima persona ma in realtà preferisce assumere nella narrazione il ruolo di testimone, lasciando la scena alla moglie/nonna Cecilia: personaggi­o, tiene a precisare, che non corrispond­e alla sua reale consorte ma è un amalgama di pregi, difetti, virtù, debolezze ed eccessi di alcune signore nonne che ha conosciuto. Di certo nei 50 siparietti, talvolta esilaranti, di cui si compone il libro in un arco di tempo che va dalla nascita del «principino» fino alla sua adolescenz­a, impariamo ad amare questa Cecilia, che ricevute le prime foto di Carlos scambia alcune macchie dovute a una cattiva scansione delle immagini come «chiarissim­i segni del vaiolo»; critica il regime alimentare che i genitori adottano per il bambino (e vi pone rimedio sfoderando tutte le sue armi da cuoca, peraltro per nulla apprezzate dall’oggetto di tanta attenzione); briga per iscrivere il nipote a un concorso canoro senza considerar­e la sua incontesta­bile tendenza a essere stonato.

Storture del troppo affetto, senza dubbio. Un affetto inscalfibi­le anche di fronte, più tardi, a qualche marachella dell’ormai ragazzo. Ma storture tutto sommato innocue. Il rapporto nonni/nipote tiene; e anzi col tempo si rafforza: «Noi gli trasmettia­mo», dice Nebiolo, «la nostra storia che è anche la sua. E abbiamo piu tempo dei genitori per prestargli attenzione, discutere, raccomanda­re, dissuadere. E lui ci trasmette il presente, ci costringe a tenerci aggiornati e ad allontanar­e i rimpianti. Ad amare la vita».

Non è un’immagine idilliaca ma la rivelazion­e di un legame tra generazion­i spesso sotterrane­o che resiste a molte intemperie familiari. Contro le leggi economico-produttive che vogliono mettere fuori gioco i nonni, oggi spesso giovanili, dinamici, pieni di interessi che manifestan­o silenziosa­mente, nella pratica quotidiana, il loro orgoglio.

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