Afro-italiani, la nuova identità con un lungo passato alle spalle
«Nero su bianco», mostra fotografica che l’American Academy in Rome inaugura il 26 maggio
Ecco gli afro-italiani, visti con l’occhio (e la cultura socio-politica, soprattutto la storia e persino la cronaca) della patria degli afro-americani, ovvero gli Stati Uniti. Presieduti oggi da Barak Obama, primo inquilino – appunto - afro-americano della Casa Bianca.
La scommessa dell’American Academy in Rome, che aprirà i battenti della mostra Nero su bianco martedì 26 maggio nella sua sede di via Angelo Masina nel verde del Gianicolo, è particolarmente intrigante. Proprio nelle ore in cui l’Italia è impegnata sul drammatico, complesso fronte dei flussi migratori dal nord Africa (ed è troppo spesso costretta a contare centinaia di vittime della barbarie degli scafisti nei propri mari) arriva una raffinata riflessione affidata a ventisette diversi artisti tra italiani, americani, inglesi, africani in cui grandi star dell’arte (come Barbara Chase-Riboud) si cimentano accanto a giovani emergenti come il duo Invernomuto, Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi, poco più che trentenni.
Come si legge nell’introduzione alla mostra «l’invito è a una riflessione sui mutamenti radicali che riguardano la percezione pubblica e privata del concetto di identità afro-italiana, dando vita a una indagine su come questi cambiamenti agiscono nella contemporaneità italiana e proponendo una nuova parola nel linguaggio che fisiologicamente descriverà le generazioni a venire». Perché l’Italia «è il crocevia del Mediterraneo» e quindi l’arte tenterà «di testare la temperatura sociale, culturale e politica» nel nostro Paese che vive un capovolgimento demografico, etnico, multiculturale e multireligioso tanto rapido quanto irreversibile. La mostra sarà integrata da un convegno organizzato a Villa La Pietra a Firenze dal 28 al 31 maggio dalla New York University in collaborazione con l’Hutchins Center for African and AfricanAmerican Research della Harvard University.
La cura della mostra è affidata a Peter Benson Miller, direttore artistico dell’American Academy, all’artista Lyle Ashton Harris e a Robert Storr, apprezzato e visionario direttore artistico della Biennale di Venezia 2007. Ed è proprio Storr a tracciare un poetico orizzonte narrativo della mostra: «L’unica unità combattente afroamericana nella Seconda guerra mondiale fu la 92° Divisione della Quinta Armata. Quella anomala partecipazione in una formazione militare angloamericana a stragrande maggioranza bianca ispirò a Roberto Rossellini il personaggio di Joe in Paisà. La “presenza africana” in Italia risale all’invasione di Annibale e arriva a oggi, ai disperati che attraversano il Mediterraneo dal nord Africa per cercare una vita migliore»
Per Mark Robbins, presidente dell’American Academy in Rome, «questa mostra è un’occasione per riflettere sull’identità afro-italiana, afro-americana e sul rapporto tra Stati Uniti, Italia e Africa». Un dato storico interessante. Solo dopo la Seconda guerra mondiale l’American Academy in Rome vide entrare il primo membro afroamericano, il compositore Ulysses Kay, nel 1949. Peter Benson Miller, riferendosi all’Italia, ricorda che «dall’antica Roma ad oggi, la migrazione, i commerci, la schiavitù, le conquiste imperiali hanno costituito la panoplia demografica della penisola e quindi il discorso sull’identità razziale e di appartenenza». In buona sintesi: perché non possiamo non dirci in parte africani.
Come spesso avviene grazie all’arte, molte opere catturano frammenti di quotidianità che, fermati per le vie d’Italia, assumono i contorni di autentiche tragedie, come avviene in «Roman stranger», straniera romana, splendido e angoscioso scatto in bianco-nero di Lyle Ashton Harris. C’è lo smarrimento, la paura. C’è una ferita fisica che è il sintomo di quella interiore. Ma c’è anche un timido accenno di sorriso. Nonostante tutto.