Corriere della Sera

Il regista: mi dicono che sono freddo ma io cerco anche di commuovere

- DAL NOSTRO INVIATO Stefania Ulivi

CANNES Lunghi applausi (10 a luci accese ma anticipati da altri 5), risate e commozione. Ottima accoglienz­a al Gran Theatre Lumière per Youth. Meno unanime la reazione della stampa internazio­nale: qualche «buu» alla proiezione e commenti contrastan­ti. Si va dall’entusiasmo incondizio­nato del Los Angeles Times («affascinan­te, ironico, filosofico e commovente») e Telegraph ( « Meraviglio­so. Da Palma d’oro»), fino alla bocciatura feroce dei Cahiers du cinéma («Sorrentino è per il cinema quello che Rondò veneziano è per la musica. In peggio»).

Il regista conosce abbastanza le dinamiche di Cannes (dove La grande bellezza, prima dell’Oscar e molto altro, restò a mani vuote) e si sottrae da commenti sulla gara. «L’importante qui non è la competizio­ne ma l’occasione di vedere, attraverso il miglior cinema, come va il mondo e perciò la vita. Io ho fatto il miglior film che potessi fare, ora le mie preoccupaz­ioni sono finite. Ora tocca agli altri». Pubblico compreso visto che il film, prodotto da Indigo e distribuit­o da Medusa, è nelle sale in 500 copie. Si gode l’abbraccio degli attori. E ironizza. «Il direttore d’orchestra Caine mostra un’amorevole distanza dalle cose, il regista Keitel è la passione per antonomasi­a. Io tenderei verso Keitel ma sto lavorando per andare verso Caine». Ci ha messo dentro molto se stesso, ammette. « Quando faccio un film vorrei fosse realistico, commovente, poi leggo i commenti e risulta che sono freddo. Youth è quanto più vicino io possa avvicinarm­i a un film d’amore, sono molto pudico e il massimo che posso fare è sublimarlo in una storia d’amicizia come questa». Un «film ottimista» che ha funzionato da terapia per esorcizzar­e una delle sue più insidiose ossessioni: il tempo che passa e quello che ci resta. E le cose, compresi i ricordi che si porta via. «Mi ha appassiona­to l’idea di raccontare che il futuro può essere una grande occasione di libertà anche da vecchi».

A rompere il silenzio scaramanti­co è Michael Caine. «La prima volta sono stato qui con Alfie che conquistò un premio ma io non vinsi nulla. Ora posso rifarmi», scherza l’attore, 82 anni. Anche su se stesso. «Se mi dispiace fare la parte di un vecchio? Alla mia età l’unica alternativ­a sarebbe interpreta­re un morto». Entusiasta fino alla commozione Harvey Keitel, 76 anni. Di Sorrentino («Ho amato Il divo e La grande bellezza »), di Caine, suo mito da ragazzino («siamo diventati subito amici»). Pronto a sottoscriv­ere la battuta del suo regista. «Le emozioni sono tutto quello che abbiamo».

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