INTERCETTAZIONI TELEFONICHE FAVOREVOLI E CONTRARI
Fra le annose discussioni sulle intercettazioni telefoniche, riscontro la persistente mancanza di una riflessione, che risulta invece spontanea per chi abbia dimestichezza con la più autorevole stampa europea. Come mai, al di qua e al di là della Manica, non si dà mai corso alla diffusione di testi e resoconti di intercettazioni? Si vuole comprimere la libertà di stampa, o difendere la vita privata dei cittadini e garantire un più rassicurante svolgimento dell’attività di giustizia?
Mario Pisani Università degli Studi di Milano
Caro Pisani,
Nel novembre 1992, in occasione del quarantesimo anniversario della sua ascesa al trono, la regina Elisabetta pronunciò un discorso di fronte al Lord Mayor di Londra in cui disse, tra altro, che l’anno non ancora concluso era stato un «annus horribilis». Pensava al modo in cui la stampa popolare britannica, con grande gioia dei suoi lettori, aveva sguazzato nelle vicende private della famiglia Windsor, dal divorzio della principessa Anna a quello del Duca di York, per non parlare della pruriginosa telenovela di cui erano stati protagonisti l’erede al trono e la principessa Diana. Una buona parte delle notizie pubblicate dai giornali apparteneva a intercettazioni telefoniche di varia provenienza.
Era frutto d’intercettazioni anche la materia prima del News of the World, il settimanale britannico di Rupert Murdoch che ne faceva un uso smodato e dovette interrompere le pubblicazioni nel luglio del 2011. Più recentemente la magistratura francese ha aperto una indagine, per finanziamenti illeciti alla sua campagna elettorale, su Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012, sulla base di una conversazione intercettata con il suo avvocato.
L’opinione pubblica di tutte le maggiori democrazie, intanto, continua a oscillare fa sentimenti diversi, spesso dettati da simpatie e antipatie politiche. Piace l’intercettazione che colpisce il nemico, non piace quella che colpisce il proprio partito e i suoi esponenti. Piace quando svela la corruzione della classe politica e serve a meglio garantire la sicurezza del Paese, ma suscita preoccupazioni quando si avvicina pericolosamente alla propria sfera privata. Nella battaglia delle intercettazioni, i mutevoli orientamenti della pubblica opinione hanno un ruolo fondamentale. L’Italia non sarebbe uno dei Paesi in cui le intercettazioni sono più numerose e frequenti se il «popolo» non le avesse gradite e approvate. Gli Stati Uniti non avrebbero il Patriot Act (una legge poliziesca) se gli attentati dell’11 settembre non avessero garantito al governo una sorta di licenza; e non sarebbero costretti a rivederlo se il clima della pubblica opinione, nel frattempo, non fosse alquanto cambiato. Più recentemente la Francia non avrebbe rinunciato a una parte della sua legislazione garantista se negli ultimi mesi il terrorismo islamista non avesse colpito una scuola, la redazione di un giornale satirico e un supermercato.
Il risultato è molto interessante. Mentre l’America si accorge di avere esagerato, la società francese sembra disposta ad accettare maggiori limitazioni. I governi nel frattempo sono sfacciatamente incoerenti. Intercettano, ma non vogliono essere intercettati. Quando la cancelliera Merkel, grazie alle rivelazioni di Edward Snowden, apprese che i servizi americani ascoltavano le conversazioni del suo cellulare, si arrabbiò. Quando apprese che i servizi tedeschi e quelli americani si scambiavano favori ricorrendo agli stessi metodi, cercò di dimostrare che le due operazioni erano diverse. Non fu convincente.