Corriere della Sera

Questa la bellezza di una crescita che non finisce qui

- Di Mario Sconcerti

La Juve batte la Lazio un attimo dopo aver moralmente perso sul doppio palo di Diordjevic. Si avvia così verso il grande slam tenendosi la concentraz­ione delle occasioni storiche e insistendo sulla bellezza della propria crescita. È nato, si è costituito sul campo, qualcosa di imprevisto e imprecisab­ile. La Juve è roccia pura che va oltre i suoi stessi limiti. Sfido a trovare ancora qualcuno che contro il Barcellona le scommetta contro per amore del gioco. La Lazio ieri ha sbagliato, ha sacrificat­o molto alla forza della Juve dedicandol­e un cambio di modulo, una difesa a tre sconosciut­a per tutta la stagione. Questo è stato il primo limite. Toccava alla Lazio fare la partita, dare di più. La Juve era in fase di transito verso la Champions, ha già vinto il campionato. Poteva anche gestire al minimo la Coppa Italia. La Lazio ha fatto invece una partita tattica, potenzialm­ente spettacola­re, ma senza una grande anima. Ha cercato più la noncuranza della Juve che la propria forza. Non una grande partita. La Juve è sempre sembrata incerta su che tipo di finale dovesse considerar­e, voleva vincere ma non ne aveva fino in fondo lo spirito. La Lazio temeva l’avversario. La sua partita ideale si è spenta sul pareggio di Chiellini. È tornata così a essere una gara d’inseguimen­to, con un avversario più forte estremamen­te faticoso da normalizza­re. Queste finali di Coppa Italia hanno comunque acquistato tono. La Coppa è consegnata dal presidente della Repubblica, tutto il grande calcio, forse anche quello corrotto, è presente alla finale. È una vera festa a se stessi. Resta da capire perché si giochi in casa di Roma e Lazio, spesso a loro volta finaliste. Si sbaglia l’Olimpico con lo stadio della Nazionale, tipo Wembley, ma non lo è, è uno stadio fortemente di parte. È diventata comunque questa finale un piccolo evento. Il nome stesso delle squadre ormai lo qualifica da anni. Non il gioco. Anche stavolta quello è rimasto soffocato. Hanno vinto i minuti finali, quelli dell’entusiasmo obbligato, della trascenden­za naturale, di Matri che rivaluta in un attimo una stagione da ex. È rimasta alla fine una partita a metà che ha dato una Coppa intera alla squadra più completa, più fortunata e però ancora aggrappata alla voglia di vincere.

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