Corriere della Sera

La speranza Bianchi che sorride alle voci amiche

- Giorgio Terruzzi

C’è il sorriso di Jules Bianchi, tra i box e il molo. È una memoria fresca e dolente. Risale al 25 maggio dello scorso anno. Corsa appena terminata, Rosberg che agita champagne, il volto tirato di Hamilton, alle prese con un compagno scaltro e velocissim­o, e poi lui, il più felice. Primi punti conquistat­i, ottavo sul traguardo, retrocesso al nono posto per cinque secondi di penalità. Raggiante, proprio lì, due passi da casa, dall’Italia, i suoi posti. L’immagine gioiosa svanisce all’istante. Schiaffegg­iata da quell’urto assurdo, Suzuka, Giappone, 5 ottobre. Fuori, sul bagnato, contro un trattore in manovra per recuperare la Sauber di Sutil. Giro 46. Fine corsa. «Lesione assonale diffusa» dissero i medici del Mie General Medical Centre di Yokkaichi. Giorni a lottare con la morte. «Forza Jules» urlato, twittato, postato ovunque, mentre l’angoscia virava verso una disperazio­ne sorda, scandita dal terribile significat­o di quella diagnosi: un trauma cranico grave al punto da produrre lesioni cerebrali profonde. Bisognava attendere, pregare, mentre papà Philippe, mamma Christine, Tom e Melanie, fratello e sorella di Jules, cercavano un senso perduto e un filo di speranza davanti all’ospedale. Giorni, settimane. Poco più di un mese per organizzar­e il trasferime­nto a Nizza, dove Jules è nato, il 3 agosto 1989. Una camera nel reparto di terapia intensiva del Centro Ospedalier­o Universita­rio. Primario il professor Raucoules. Neurochiru­rgo il professor Paquis. Jules vive lì, respira autonomame­nte. Jules dorme. Babbo Philippe ha origini milanesi, una lunga storia migrante, una passione per i motori che resiste ancora, lo porta dietro ragazzini e kart. Dopo aver ringraziat­o medici e tifosi, si è chiuso, ha perso la voglia di parlare. Non la speranza. Fa ascoltare al figlio nastri registrati, voci. Jules sorride, talvolta. Stringe una mano, non sempre. Jules dorme. Sono in tanti a parlargli con un amore che resiste, vivo. Matteo Ferrari, il suo fisioterap­ista. Luca Baldisserr­i, il responsabi­le dell’Accademia Ferrari che l’ha cresciuto in pista, Nicholas Todt, il suo manager, un vecchio amico. Due donne, Camille, il primo amore; Gina, la fidanzata, una ragazza tedesca forte e tenace. Sospesi tutti, trasportat­i dalle onde dello sconforto, perché dal coma Jules non esce, non si sa se mai uscirà. L’inchiesta federale non ha distribuit­o alcuna responsabi­lità. Philippe Bianchi mastica un’amarezza doppia perché se una macchina colpisce un trattore durante un Gp, beh, qualcosa di certo non ha funzionato. Le cure costano. Costeranno, generano preoccupaz­ioni e rabbia in eccesso. Intanto, silenzio, per cortesia. Mamma Christine continua a servire i clienti nel ristorante di Brignoles. Aspetta un segno, un risveglio; aspetta Jules da nove mesi. Il ristorante si chiama L’Absolu. L’Assoluto. L’indirizzo è una carezza sul cuore. Rue Petit Paradis. Piccolo Paradiso.

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