La speranza Bianchi che sorride alle voci amiche
C’è il sorriso di Jules Bianchi, tra i box e il molo. È una memoria fresca e dolente. Risale al 25 maggio dello scorso anno. Corsa appena terminata, Rosberg che agita champagne, il volto tirato di Hamilton, alle prese con un compagno scaltro e velocissimo, e poi lui, il più felice. Primi punti conquistati, ottavo sul traguardo, retrocesso al nono posto per cinque secondi di penalità. Raggiante, proprio lì, due passi da casa, dall’Italia, i suoi posti. L’immagine gioiosa svanisce all’istante. Schiaffeggiata da quell’urto assurdo, Suzuka, Giappone, 5 ottobre. Fuori, sul bagnato, contro un trattore in manovra per recuperare la Sauber di Sutil. Giro 46. Fine corsa. «Lesione assonale diffusa» dissero i medici del Mie General Medical Centre di Yokkaichi. Giorni a lottare con la morte. «Forza Jules» urlato, twittato, postato ovunque, mentre l’angoscia virava verso una disperazione sorda, scandita dal terribile significato di quella diagnosi: un trauma cranico grave al punto da produrre lesioni cerebrali profonde. Bisognava attendere, pregare, mentre papà Philippe, mamma Christine, Tom e Melanie, fratello e sorella di Jules, cercavano un senso perduto e un filo di speranza davanti all’ospedale. Giorni, settimane. Poco più di un mese per organizzare il trasferimento a Nizza, dove Jules è nato, il 3 agosto 1989. Una camera nel reparto di terapia intensiva del Centro Ospedaliero Universitario. Primario il professor Raucoules. Neurochirurgo il professor Paquis. Jules vive lì, respira autonomamente. Jules dorme. Babbo Philippe ha origini milanesi, una lunga storia migrante, una passione per i motori che resiste ancora, lo porta dietro ragazzini e kart. Dopo aver ringraziato medici e tifosi, si è chiuso, ha perso la voglia di parlare. Non la speranza. Fa ascoltare al figlio nastri registrati, voci. Jules sorride, talvolta. Stringe una mano, non sempre. Jules dorme. Sono in tanti a parlargli con un amore che resiste, vivo. Matteo Ferrari, il suo fisioterapista. Luca Baldisserri, il responsabile dell’Accademia Ferrari che l’ha cresciuto in pista, Nicholas Todt, il suo manager, un vecchio amico. Due donne, Camille, il primo amore; Gina, la fidanzata, una ragazza tedesca forte e tenace. Sospesi tutti, trasportati dalle onde dello sconforto, perché dal coma Jules non esce, non si sa se mai uscirà. L’inchiesta federale non ha distribuito alcuna responsabilità. Philippe Bianchi mastica un’amarezza doppia perché se una macchina colpisce un trattore durante un Gp, beh, qualcosa di certo non ha funzionato. Le cure costano. Costeranno, generano preoccupazioni e rabbia in eccesso. Intanto, silenzio, per cortesia. Mamma Christine continua a servire i clienti nel ristorante di Brignoles. Aspetta un segno, un risveglio; aspetta Jules da nove mesi. Il ristorante si chiama L’Absolu. L’Assoluto. L’indirizzo è una carezza sul cuore. Rue Petit Paradis. Piccolo Paradiso.