Gli eterni duellanti del cinema italiano
A Cannes la rivalità tra Sorrentino e Garrone e i modelli diversi di Fellini e Pasolini
Èormai evidente che Garrone vorrebbe essere Pasolini e Sorrentino vorrebbe essere Fellini. Già l’operazione di Gomorra era di impianto pasoliniano; come lo era la storia del proletario di Reality tradito dalla (post)modernità. Ora Il racconto dei racconti evoca Il fiore delle mille e una notte di Pasolini; e l’immagine dell’orco che si carica in spalla la principessina pare quasi un calco del volo del demone Franco Citti.
In Youth Michael Caine somiglia a Fellini anche fisicamente, nella montatura degli occhiali, nei cappellini che si mette in testa. E l’altra metà di Fellini è Harvey Keitel, regista a fine carriera che in una visione onirica ritrova le donne che ha diretto. Del resto, è noto che La grande bellezza guarda alla Dolce vita; e Paolo Mereghetti ha già colto in Youth i richiami a 8 e mezzo. Se poi provate a chiedere a Sorrentino quali siano i cinque film della sua vita, vi dirà quattro film di Fellini; poi indugerà un attimo per trovare almeno un altro regista.
Sia chiaro: non è un difetto. Perché poi sia Garrone sia Sorrentino hanno la loro personalità e la loro arte del tutto creativa e autonoma. Sono rivali in modo sano, senza insulti o bassezze; ma lo sono, legati da una serie di coincidenze, a cominciare dal fatto di abitare nello stesso palazzo, nel quartiere multietnico di piazza Vittorio a Roma. E, pur essendo molto diversi, i loro film hanno sempre qualcosa in comune: l’arida regina del Racconto dei Racconti (Salma Hayek) che addenta il cuore di un cervo somiglia alla pretenziosa artista di Youth, che dopo aver cantato in francese azzanna una coscia di pollo. Garroniani e sorrentiniani: sono endiadi che fanno bene, tengono vivi e vigili, accendono discussioni e passioni. Poi magari a Cannes vincerà Nanni (un po’ anche Johnny Depp, ricreato da un Paul Dano con basette). E anche noi facciamo molte cose per i figli nella speranza che se le ricordino, e tendiamo a dimenticare quel che hanno fatto per noi i nostri padri.
Sorrentino è innanzitutto un grande scrittore. Non a caso il film è pure un libro, dal titolo opportunamente italiano, La giovinezza. È uno scrittore che riesce a fare accadere moltissime cose senza alzare mai troppo il ritmo, senza andare fuori giri. In passato non sempre ha convinto del tutto: Il divo, barocco ai limiti del grand-guignol, non aveva il rigore che dovrebbe avere un film politico o considerato tale; This must be the place era forse un po’ calligrafico, compiaciuto, sin troppo bello. Anche Youth ha le sue ingenuità: non è difficile prevedere che prima della fine il monaco buddhista leviterà davvero; ma sono le ingenuità che ti fanno sentire un autore più vicino, più «simile». L’opera è commovente, intensa, piena di spunti che ti portano in tante direzioni diverse, con scene da incanto persino negli incubi: l’acqua alta nella Venezia notturna; il video promozionale della pop star Paloma Faith. Un film però non lo si può raccontare. Lo si deve vedere, forse amare. Di sicuro Sorrentino è un artista di cui è bello essere contemporanei.
Effetti Pur essendo molto diversi hanno qualcosa in comune: fanno bene, tengono vivi e vigili Passioni Accendono dibattiti e passioni. Chi è nato tra gli Anni 60 e 70 ha trovato due idoli