Corriere della Sera

Se si calpesta la storia antica

Roccaforte inespugnab­ile faro della cultura ellenistic­a Palmira sopravviss­e alle mire di Marco Antonio e Augusto

- di Luciano Canfora

La storia antica sembra non interessar­e nessuno, per lo meno a giudicare dalla indifferen­za con cui il cosiddetto mondo civile assiste alla distruzion­e di uno dei più importanti siti archeologi­ci del mondo. Dinanzi a questa inerzia senza scusanti conviene ricordare che Palmira non è una realtà antica ma antichissi­ma.

Il suo nome ricorre nell’Antico Testamento nelle Cronache. La sua realtà è centrale in quel quadrilate­ro cruciale che collega la Mesopotami­a e il Golfo Persico col Mediterran­eo, in un alternarsi di paesaggi fertili e deserto. Le località che delimitano tale quadrilate­ro sono Babilonia, Edessa, Antiochia e Gaza. Al centro di questo quadrilate­ro vi è Palmira. Per familiariz­zarsi con la topografia e la storia di questo centro, la più celebre delle cosiddette città carovanier­e, conviene rifarsi al grande libro dello storico russo Rostovtzef­f (1870-1952): libro particolar­mente felice e molto fortunato in Italia, grazie alla traduzione che ne fece prontament­e l’editore Laterza ( Città carovanier­e, Bari 1934).

Le città carovanier­e erano stazioni commercial­i delle carovane che trasportav­ano merci e uomini dal deserto arabico al Mediterran­eo. In Siria, oltre Palmira, va ricordata almeno Damasco. Al tempo stesso va ricordato che tali realtà gravitaron­o inevitabil­mente verso il regno seleucide, fondato da Seleuco I dopo la morte di Alessandro Magno. Sin dall’epoca seleucide (III a.C.) una colonia macedone, uomini e soldati parlanti greco, si era insediata a Palmira. Ma col decadere della potenza seleucide finì per essere una sorta di Stato cuscinetto tra l’impero partico e la provincia romana di Siria.

La prima notizia esplicita, nelle fonti classiche, riguarda il saccheggio di Palmira da parte delle legioni del triumviro Marco Antonio (41 a.C.), in quegli anni — siamo dieci anni prima della battaglia di Azio — padrone della parte orientale della repubblica imperiale romana. Antonio tentava di rilanciare il controllo romano al di là della provincia di Siria, perennemen­te minacciata dalle incursioni partiche. È sintomatic­o della complicata realtà etnica, religiosa e politica di quell’area il fatto che i Romani non siano mai riusciti ad avere il controllo pieno delle campagne, ma si siano attestati nelle principali realtà urbane. In momenti di inquietudi­ne politica i Parti irrompevan­o nell’area a sostegno dei nemici di Roma e se del caso si ritiravano. Quando Palmira viene saccheggia­ta dalle legioni di Antonio accade il fenomeno inverso: gli abitanti si sottraggon­o alla morsa delle truppe romane e, portandosi dietro le loro ricchezze, si rifugiano al di là dell’Eufrate, sotto protezione partica.

Quando Augusto, divenuto unico padrone della repubblica imperiale, decise di avviare una entente cordiale con i Parti, accettò di buon grado che Palmira costituiss­e un territorio neutro e inaugurò un lungo periodo di pace. Nel frattempo i palmireni, che erano arabi, avevano ormai realizzato un insediamen­to stanziale ed un grado di civiltà elevatissi­mo; si difendevan­o dai predoni beduini per proteggere il loro commercio. Fu un grande pacificato­re quale Adriano a ridare sicurezza alla regione. Al tempo della sua visita a Palmira (129 d.C.) la città assunse l’epiteto di Hadriana. Da Marco Aurelio a Settimio Severo ci fu invece un crescendo di tensione romano-partica con reiterati conflitti, ed è a seguito di quella prolungata tensione che a Palmira si venne costituend­o una realtà politica nuova di tipo monarchico intorno alla famiglia di Odenato.

Il seguito della vicenda è noto. Odenato, buon amico dei Romani, e gratificat­o del titolo di corrector totius Orientis, cui aggiunse di suo il titolo di «re dei re», fu liquidato da una congiura che portò al potere il figlio Valballato, sotto reggenza dell’ambiziosa e abilissima madre Zenobia. Siamo negli anni della cosiddetta «seconda anarchia militare» (III secolo d.C.). Solo con la ascesa al trono di Aureliano il governo romano riuscì a porsi il problema di contenere l’espansioni­smo palmireno: ormai Zenobia controllav­a parte della penisola arabica, l’intero Egitto, la Siria e l’Asia minore fino alla Bitinia.

Dapprima Aureliano accettò lo stato di fatto e concluse un accordo con Zenobia sulla base del riconoscim­ento da parte di Roma del dominio di Zenobia su tutte le regioni conquistat­e. Palmira intanto era anche un faro di cultura ellenistic­a e intorno alla regina si raccolse una élite culturale il cui più noto esponente fu il filosofo Cassio Longino. L’accordo durò pochissimo. Nell’anno 271 Aureliano sferrò un attacco frontale contro il regno palmireno, prendendo a pretesto la assunzione da parte di Valballato, del titolo Imperator Caesar Augustus. L’attacco fu concentric­o: da un lato la rapida riconquist­a dell’Asia minore e dall’altro la durissima campagna in Egitto che comportò la distruzion­e, ad Alessandri­a, dell’intero quartiere del Bruchion, dove era il palazzo reale dei Tolomei, comprenden­te un patrimonio inestimabi­le dell’umanità quale la grande biblioteca, situata dentro il palazzo reale. È bene ricordare infatti che il distruttor­e della biblioteca più importante del mondo antico non fu Giulio Cesare, ma Aureliano: ne parla ancora, circa mezzo secolo dopo, lo storico di origine siriaca Ammiano Marcellino.

Dall’Egitto, Zenobia fuggì a Palmira e organizzò l’ultima resistenza. Quando i Romani erano sul punto di espugnarla, infliggend­o perdite e distruzion­i alla città, Zenobia tentò di fuggire presso i Parti, ma fu raggiunta e arrestata mentre varcava l’Eufrate. Secondo le fonti romane avrebbe cercato di salvarsi accusando i suoi consiglier­i, Longino incluso. Nulla di preciso si sa sulla sua fine. Forse, imitando Cleopatra, riuscì ad evitare di ornare il trionfo di Aureliano.

La mossa risolutiva Nel 271 d.C. Aureliano sferrò l’attacco decisivo per fermarne l’espansioni­smo

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Tesori La scultura che rappresent­a una tipica famiglia di Palmira esposta al museo della città. A fianco una moneta che raffigura Giulio Cesare trovata a Palmira
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