Da armiere a uomo del commando Tutti i buchi sulle accuse dalla Tunisia
il suo arrivo in Italia a bordo di un barcone». E allora come mai le contestazioni al giovane che vive con la madre in provincia di Milano appaiono così infondate? Che cosa è davvero accaduto in questi due mesi dopo l’attentato?
La segnalazione giunta a metà aprile ai Servizi Segreti italiani parla di Touil come del terrorista che ha procurato i kalashnikov per l’attacco. L’allerta girato alle forze dell’ordine è invece generico, nel documento c’è un elenco di nominativi indicati come «sospetti» fondamentalisti ma senza fornire ulteriori informazioni. Al Bardo sono morti quattro italiani, la procura di Roma ha avviato un’inchiesta. Se c’era il dubbio che uno dei terroristi fosse giunto nel nostro Paese perché non sono stati sollecitati controlli urgenti? Come mai si è corso il rischio di lasciare libero un personaggio tanto pericoloso?
Gli investigatori avrebbero potuto compiere accertamenti, pedinarlo e tenerlo sotto controllo per scoprire se davvero aveva strane frequentazioni, se aveva contatti con la Tunisia o addirittura che prima di imbarcarsi alla volta dell’Italia avesse trascorso due settimane in un campo di addestramento
Due espulsi e nuove ombre sulla rete di predicazione e reclutamento jihadista di «foreign fighter» che si sarebbe sviluppata a Nord-est, grazie alle indagini avviate dopo la morte in Siria, nel gennaio 2014, di Ismar Mesinovic, il bosniaco che risiedeva nel Bellunese. I militari hanno eseguito a Pordenone il primo decreto emesso dal Viminale nei confronti di Arslan Osmanoski, ritenuto il «braccio destro» di uno dei principali indagati di questa «filiera» di reclutamento. Un altro provvedimento era destinato a un cittadino marocchino, Anass Abu Jaffar, già residente nel Bellunese, ma che si sarebbe da tempo allontanato verso il suo Paese d’origine. La casa di Osmanoski era stata perquisita il 30 ottobre e i carabinieri avevano trovato e sequestrato materiale jihadista. Abu Jaffar aveva elogiato su Facebook il «martire» Giuliano Delnevo (il ragazzo genovese convertitosi all’Islam radicale e morto in combattimento in Siria) e aveva espresso sentimenti antioccidentali in occasione della strage a Charlie Hebdo. in Libia come assicuravano alcune indiscrezioni circolate ieri e rimaste senza riscontro. E invece nulla accade fino a martedì scorso quando le autorità tunisine sollecitano il fermo riservandosi di chiedere il trasferimento per poterlo giudicare.
La consegna dello straniero appare tutt’altro che scontata, anche tenendo conto che in Tunisia c’è la pena di morte e secondo il nostro ordinamento è possibile chiedere l’inserimento di una clausola che condizioni l’estradizione alla certezza che l’imputato non possa essere sottoposto a pena capitale. E comunque bisognerà verificare la fondatezza delle contestazioni, stabilire se sia davvero un componente della cellula, se si tratti di un fiancheggiatore o se possa essere addirittura estraneo. In ogni caso, proprio perché esiste un fascicolo aperto anche dagli inquirenti della Capitale, non è escluso che alla fine si decida di trattenerlo per motivi di giustizia, di processarlo qui e, in caso di condanna, di mandarlo nel suo Paese d’origine, il Marocco, per scontare la pena.
Molto dipenderà anche dalle trattative diplomatiche già avviate tra Roma e Tunisi. I due Paesi hanno ottimi rapporti, esistono trattati bilaterali di cooperazione in materia di immigrazione e terrorismo e anche le forze di polizia hanno lavorato insieme dopo l’attentato proprio per scambiarsi informazioni. Un’intesa che in queste ore viene messa duramente alla prova.
Diplomazia e giustizia Il giallo su un’omonimia sostenuta da un giornale nord africano Le trattative sulla consegna del ragazzo: l’ipotesi che possa essere processato nel nostro Paese