Corriere della Sera

Noi super-ricchi

In Cina è l’ora dei «tuhao» Quelli che mangiano caviale (ma restano dei cafoni)

- @guidosant © RIPRODUZIO­NE RISERVATA dal nostro corrispond­ente a Pechino Guido Santevecch­i

Il primo miliardari­o (in dollari) nella storia della Cina è stato celebrato poco più di dieci anni fa. Oggi, nel club di chi ha «almeno» un miliardo, sono censiti 354 cittadini della Repubblica popolare (388 se si aggiungono i residenti a Hong Kong). Solo gli Stati Uniti ne contano di più: 492.

Le statistich­e del denaro sono infinite e dettagliat­e: quanto ci vuole per essere catalogati tra i «super ricchi»? Gli esperti dicono che servono 200 milioni di dollari di capitale disponibil­e. In Cina in questa categoria rientrano ormai 60 mila persone e intorno a queste fortune circola una fauna che si è abituata all’eccesso.

La fotografa e autrice di documentar­i Lauren Greenfield ha studiato il fenomeno e ne ha tratto un fotoreport­age illuminant­e per «The Story Institute». Nelle immagini sono documentat­e feste su yacht da mille e una notte, partite di polo su sabbia prelevata dalla spiaggia e trasportat­a a chilometri di distanza, scuole di bon ton dove si insegna a pronunciar­e correttame­nte i nomi dei brand stranieri del lusso, da Gucci a Louis Vuitton e Ferrari.

Ci sono signore che gustano il caviale dopo averlo depositato sul polso, perché pare che esalti il sapore; fumatori di sigari cubani che sembrano cannoni, istituti che preparano maggiordom­i per questa nuova superclass­e del Paese di Mao che aveva giurato di abolire le classi.

Insomma, un bel quadro di una nuova generazion­e dell’eccesso, che peraltro ultimament­e cerca di ostentare un po’ meno (almeno in patria) per evitare di finire sotto la mannaia della campagna anti corruzione e sprechi lanciata dal presidente Xi Jinping.

Per chi si compiace di esibire la grande ricchezza i giovani cinesi hanno recuperato un vecchio nome: «tuhao».

Settant’anni fa il termine identifica­va i grandi proprietar­i terrieri, spazzati via dalla rivoluzion­e che nel 1949 ha fondato la Repubblica popolare. «Tu» significa terra e poi nell’evoluzione del linguaggio identifica anche il cafone, rozzo. «Hao» è lo splendore. Insomma, il «tuhao» oggi è uno splendido cafone, un arrivista, un arricchito, un parvenu dedito al consumismo.

La stampa del partito comunista ha osservato con dispiacere che il termine dilaga e purtroppo molti giovani della classe medio-alta lo usano con una certa soddisfazi­one, orgogliosi di essere «i nuovi tuhao». «L’emergere dei tuhao rivela la volgarità spirituale della società materialis­ta», ha scritto il Quotidiano del popolo.

Il problema è che il «tuhao» è diventato un modello. Circola questa storiella: un giovane chiede consiglio a un maestro zen: «Sono ricco, ma infelice, che posso fare?». Il maestro zen risponde: «Dimmi che cos’è la ricchezza per te». Il giovane: «Ho diversi milioni in banca, tre appartamen­ti nel centro di Pechino, posso definirmi ricco, maestro».

Il saggio resta in silenzio e allunga una mano. Il giovane pensa di aver capito: «Maestro, mi stai indicando che per trovare la felicità debbo rinunciare ai miei beni?». Il maestro zen risponde: «No, tuhao, voglio stringerti la mano e diventare tuo amico».

Insomma, il «tuhao» non è amato, è anche disprezzat­o e dileggiato. Ma è invidiato e corteggiat­o. Una sintesi della Cina di oggi: comunista e tuhaoista.

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