Corriere della Sera

Barnes, un pedante in cucina: gli ingredient­i? Sono sempre intoccabil­i

Il consiglio numero uno è «niente approssima­zione. Tra i fornelli bisogna dimenticar­e l’istinto»

- di Pierluigi Battista @PierluigiB­attis © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non è detto che un grande chef debba essere un grande scrittore. Ma non è detto che un grande scrittore non voglia o possa pretendere dai lettori un’attenzione ai libri scritti dagli chef come se fossero esercizi di grande e sacrale letteratur­a. E infatti Julian Barnes, in questo suo «Il Pedante in Cucina» (in edicola da oggi con il Corriere della sera per la serie «Storie di Cucina»), si fa forte, parlando di libri di ricette, di una citazione di Joseph Conrad, tratta da una sua prefazione al libro di cucina della moglie Jessie: «Un libro di cucina ha uno scopo soltanto ed è inequivoca­bile. L’unico obiettivo che gli si possa plausibilm­ente attribuire è di accrescere la felicità del genere umano». Vasto programma. Vastissimo. Ma Barnes sostiene che non si può essere approssima­tivi, malati di faciloneri­a, superficia­li, sciatti, quando si trae ispirazion­e da un libro di cucina. Scopriamo infatti che Barnes è un attento lettore di questi libri. Ma non sopporta che vengano trattati come un’ «opera aperta», disponibil­e a ogni interpreta­zione. Lo chef scrive quello, e quello bisogna fare. Scrupolosa­mente. Dettagliat­amente. Pedantemen­te, appunle to. «A dispetto della comune idea romantica, non è vero che ogni persona ha dentro di sé un romanzo; né che ogni chef ha dentro di sé un libro di ricette». Ma allora bisogna trattare quei libri con devota attenzione. Non è che se si indica un certo tipo di pomodoro, il lettore può fare di testa sua e sceglierne un altro tipo. E poi le dosi: quelle sono scritte e queldi devono essere. E gli ingredient­i: quelli sono scritti e quelli devono essere. Uno scrittore non sopporta l’idea che un libro di ricette venga preso con trascurate­zza. Ma anche gli chef devono fare la loro parte. Devono essere pedanti, autoritari, tassativi, intransige­nti. Racconta Barnes: «Il peggior pasto della mia vita — peggiore nel senso di più irritante — mi fu servito in un ristorante stellato francese in cui lo chef aveva elevato la non-pedanteria a principio e slogan: pubblicizz­ava quello che faceva come cuisine d’istinct ». Ecco, l’istinto no. L’istinto è esattament­e quello che legioni di dilettanti vorrebbero fosse legittimat­o dai nuovi leader d’opinione che sono diventati gli chef stellati. Solo che lo chef, secondo Barnes, non deve fare opinione. Ma deve scrivere cose precise, con un mestiere senza sbavature, senza divismi. Questa è la grande letteratur­a dei ricettari secondo Julian Barnes: la pignoleria, l’esattezza, la pedanteria, l’assoluta precisione, il rifiuto dell’opinione. Un esercizio di ascesi. Quasi una preghiera, con i libri di ricette come nuovi messali. Barnes, il pedante in cucina, è un fondamenta­lista. Lo chef il suo profeta.

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Lo scrittore britannico Julian Barnes e la copertina del suo libro, «Il pedante in cucina»: il volume è in edicola con la collana del Corriere della Sera «Storie di cucina»
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