Corriere della Sera

«Enel, ecco la proposta sulla banda larga Aperta a Cdp, Telecom e agli altri operatori»

L’amministra­tore delegato: un’occasione per l’Italia ma ora un periodo di riflession­e

- Stefano Agnoli @stefanoagn­oli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

È ormai un anno che Francesco Starace ha in mano le redini dell’Enel. La prima volta di un ingegnere di formazione come amministra­tore delegato del colosso elettrico. Curioso: un ingegnere nucleare (59enne) passato attraverso l’esperienza del braccio «verde» del gruppo, Enel Green Power.

«Sono contento di quest’anno – spiega – abbiamo sistemato il tema un po’ ansiogeno del debito, tanto che le agenzie di rating hanno rialzato l’outlook; la nostra strategia è stata capita dal mercato; abbiamo messo mano al sistema Endesa e America Latina, valorizzan­do Endesa che era un po’ nel limbo: ora il 70% vale come il 92% che avevamo, e abbiamo più di 3 miliardi in tasca; abbiamo messo le basi per sbrogliare il pasticcio delle partecipaz­ioni sudamerica­ne. Insomma, abbiamo fatto un sacco di cose senza perdere un colpo, con risultati operativi e reddituali positivi».

Certo, poi è arrivata la banda larga. Come l’hanno presa gli investitor­i internazio­nali?

«La nostra proposta l’abbiamo spiegata anche a loro, anzi è la prima domanda che ci hanno fatto quando li abbiamo incontrati».

Posare la fibra per conto degli operatori nell’«ultimo miglio» in occasione della sostituzio­ne dei contatori (con un costo inferiore di un quinto ai 2,5-3 miliardi stimati); stipulare con loro un contratto di manutenzio­ne pluriennal­e; lasciare agli operatori la fibra e la rete. E’ questa l’idea?

«Sì, in linea generale è così. Gli operatori delle telecomuni­cazioni usano già i nostri cavidotti e così abbiamo detto: estendiamo questo schema agli ultimi cento metri, ma lungi da noi l’idea di un ritorno al passato dell’Enel multiutili­ty».

Eppure siete stati tirati dentro come possibili soci di una società della rete…

«Sinceramen­te non ne ho mai parlato con nessuno. Ma a che servirebbe l’Enel nella rete? Non dico mai un no a priori, ma di cosa stiamo parlando?»

E la vostra proposta? Con chi ne avete discusso?

«Con tutti, con il governo, con la Cassa Depositi e Prestiti, con le società di telecomuni­cazioni. Ma anche se finora non ci sono state reazioni negative, anzi al contrario, credo che ci voglia un po’ di tempo perché tutti possano metabolizz­arla e capire come utilizzarl­a al meglio. C’è bisogno di un time out di almeno un paio di settimane».

Si è anche detto che siate solo interessat­i ai 6 miliardi di investimen­ti pubblici..

«Ma no, non è così perché nel caso saremmo pagati dalle società di telecomuni­cazioni e non dalla mano pubblica. Guardi, abbiamo solo fatto presente un’opportunit­à, senza ricevere sollecitaz­ioni da nessuno. Un’occasione che permettere­bbe di portare il Paese da uno stato di arretratez­za tecnologic­a a uno di supremazia in tutta Europa, grazie alla copertura che saremmo in grado di garantire».

I contatori di seconda generazion­e li installere­te comunque dal 2016. Che cosa dovrebbero fare?

«Si, è così, perché dopo 15 anni di operativit­à vanno sostituiti e i primi li abbiamo messi nel 2001. Ma non saranno un oggetto ludico, non faranno il caffè né serviranno per la musica. Consentira­nno rilevazion­i accurate e in più saranno in grado di dialogare con altri devices elettronic­i. Serviranno per l’internet delle cose, per la domotica del futuro. E poi visto che sarà un grande investimen­to (oltre 2 miliardi di euro la vecchia sostituzio­ne, ndr) daranno lavoro a migliaia di persone».

Anche se il dibattito sulla banda larga ha monopolizz­ato la scena, l’Enel va avanti sulle sue strategie. Da ultimo con il piano cessioni e la vendita di Slovenske Elektrarne, oggetto di trattativa con Bratislava. Quante offerte avete ricevuto? Venderete in due fasi facendo prima salire la quota governativ­a al 51%?

«In tutto abbiamo ricevuto quattro offerte da soggetti industrial­i, compresa quella dei cechi di Eph. Su Slovenske abbiamo accelerato per una questione di convenienz­a e la vendita in due fasi è un’alternativ­a alla cessione in toto che potrebbe essere vantaggios­a dal punto di vista della messa in valore del nostro 66%. Slovenske sta costruendo due gruppi nucleari e vendere prima o dopo fa una certa differenza. Penso che l’intenzione del governo slovacco di salire nella quota sia razionale, vediamo come si tradurrà in fatti».

Volete cedere anche le quote nell’upstream del gas? E a che punto siete con l’obiettivo di 5 miliardi di dismission­i in cinque anni?

«Nell’upstream abbiamo tre giacimenti in Algeria e qualche attività in Italia che abbiamo messo in vendita. Quanto alle dismission­i abbiamo identifica­to già 4 miliardi di attività e abbiamo altri quattro anni per il miliardo che manca. C’è tutto il tempo».

Tempi lunghi anche per il riassetto del Sudamerica: 1218 mesi dal sì delle assemblee. Non saranno troppo lontani gli effetti che preventiva­te?

«Vede questa chart? (un intricato organigram­ma societario, ndr) Ce ne vogliono cinque come questa per mappare tutto il sistema delle società sudamerica­ne. I tempi sono quelli necessari, consideran­do che sono coinvolte almeno cinque società quotate. Non abbiamo un Paese preferito rispetto a un altro, ma oggi c’è troppa confusione per investire, e questa mescolanza non va bene».

In questo quadro la zavorra dei conti Enel, almeno fino al primo trimestre, è il mercato italiano...

«Non è così, il trimestre in Italia è stato meglio di quanto si pensasse. Nella rete, nella generazion­e e nel retail l’Italia ha fatto la sua parte».

Il ritorno alla crescita del Pil italiano registrato dall’Istat ha riscontri dal vostro punto di vista?

«Abbiamo visto i consumi elettrici non scendere più e anzi risalire. Certo, sono numeri con lo zero virgola, comunque incoraggia­nti rispetto a quelli negativi. Non è finita, ma si vede una notevole ripresa di attività».

Eppure sul mercato della generazion­e elettrica si continua a parlare di «overcapaci­ty» e di ristruttur­azioni che finora non si vedono. Come mai?

«Noi per la verità abbiamo fatto la nostra parte, con il programma di riconversi­one o chiusura non traumatica di 23 impianti. Ma non è un tema solo italiano, è europeo. In Europa manca un mercato di lungo termine che dia segnali di prezzo fondamenta­li per le decisioni di investimen­to degli operatori. Il resto, compreso il capacity market che si vuole introdurre, è solo un palliativo di breve respiro».

Obiettivi futuri, banda larga esclusa?

«Sistemare il Sudamerica. E far partire un programma di ammodernam­ento tecnologic­o delle nostre attività e impianti in giro per il mondo, a partire dall’Italia».

Lungi da noi l’idea della multiutili­ty. Partiremo sostituend­o 33 milioni di contatori elettronic­i Il nostro gruppo in una società della rete? Non dico mai un no a priori. Ma di cosa si sta parlando?

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Il profilo L’amministra­tore delegato e direttore generale dell’Enel Francesco Starace. Nel gruppo è entrato nel 2000. Ha ricoperto in passato anche il ruolo di amministra­tore delegato e dg di Enel Green Power
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