Profughi da banlieue
Convince «Dheepan» su un tamil a Parigi L’attore: ho rivissuto la mia storia violenta
«Quella che vedete è la mia storia, sono stato guerrigliero nello Sri Lanka, e nel film finisco nell’inferno delle banlieue di Parigi», dice Antonythasan Jesuthasan, il protagonista del film di Jacques Audiard. È il giorno di un autore feticcio francese, abituato a saltare da un genere all’altro: «Qui poi per rinnovare la creatività ho cambiato tutto, compresa la squadra di collaboratori, dal direttore della fotografia al compositore». È un habitué del Festival: nel 2012 in Un sapore di ruggine e ossa «amputò una gamba a Marion Cotillard.
Ora si presenta con Dheepan. Così si chiama il personaggio maschile impersonato da Jesuthasan. Il regista la definisce «una love story da un punto di vista nuovo». «Lei non è mia figlia, lui non è mio marito. È tutto falso», sintetizza magnificamente nel film l’attrice Kalieaswarl Srinivasan, nei panni della badante del padre del boss. I due protagonisti hanno nomi impronunciabili. La storia però è semplice. Una storia di violenza che chiama violenza, di poveri che si fanno la guerra tra loro, di integrazione, di profughi che arrivano dall’altra parte del mondo.
L’attore Jesuthasan ha militato nelle famose Tigri del Tamil, il movimento secessionista dello Sri Lanka. E dunque recita se stesso. Ora vive a Parigi (l’attrice invece è emigrata in India), ma vuole parlare nella sua lingua madre, e fa con qualche successo l’attore di teatro: «Sono scappato in Francia perché era l’unico Paese del quale sono riuscito ad avere un passaporto falso. Come nel film, anch’io ho incontrato tante difficoltà, la scena in cui vendo paccottiglie ai parigini per strada, mentre i poliziotti a caccia di gente senza permesso mi insegue, l’ho vissuta veramente».
Sullo sfondo l’eterna guerra civile nello Sri Lanka, cominciata nel 1970 e terminata nel 2009 con la disfatta, ad opera del governo, dei militanti socialisti che volevano liberare la patria. Ancora oggi — dice l’attore ex combattente — non si sa quanti guerriglieri stiano marcendo in prigione, non esistono notizie certe. C’è stata una diaspora, i principali Paesi che io e i miei compagni abbiamo raggiunto, sono Canada, Inghilterra e Francia». Nel film, per lasciare il Paese e poter chiedere asilo politico in Occidente si inventa una famiglia composta da una conoscente e da una bambina rimasta orfana pescata in una tendopoli. A Parigi, lui trova lavoro come port i e re dei palazzi in una banlieue, vuole tenere gli occhi in basso, niente grane, bisogna stare alle regole. I tre hanno un segreto, sono una famiglia creata dal nulla, non devono dimenticarlo. Lui nella guerra ha perso la vera moglie e la vera figlia; lei non sa trattare i bambini, non sa come si fa.
Ma torneranno gli incubi delle imboscate nello Sri Lanka, la Tigre ritrova i suoi denti sporcandosi di un sangue che non conosceva: nella violenza urbana, nella cronaca della miseria ordinaria, nei conflitti tra le gang, nella guerra degli ultimi. Per uscirne fuori dovrà sparare anche lui, fino alla carezza del lieto fine. «Diventeranno una vera famiglia — dice Audiard —. La famiglia era il mio focus, così come lo era la Francia vista con occhi diversi. Non volevo fare un documentario su una guerra civile. Io non sapevo nulla dello Sri Lanka, ignoravo perfino dove fosse sulla mappa geografica. Il casting è stato velocissimo. Li ho visti e li ho reclutati. È un progetto che mi ha impegnato quattro anni, ma non era mai finito, per essere in gara a Cannes, nelle settimane scorse ho dovuto correre».