«Ragazze oppresse in Turchia, sfido il maschilismo con un film»
Giocare a cavalluccio tra le onde può costare caro in Turchia. Cinque sorelle tra i 10 e i 16 anni nuotano, ridono, salgono in groppa ai compagni di scuola e da lassù si spingono in acqua. Gioco innocente di per sé, peccaminoso per certi occhi zelanti e delatori. Tornate a casa, le ragazze vengono prese a schiaffi e male parole dalla nonna e dallo zio, furibondi per quel comportamento «osceno».
«Uno scandalo che conosco, ci sono passata anch’io», racconta Deniz Gamze Erguven, trentenne dal sorriso luminoso, nata ad Ankara, cresciuta tra Turchia e Francia, che proprio con quelle immagini apre Mustang, suo primo lungometraggio, applaudito alla sezione Quinzaine. E subito diventato un piccolo «caso» del Festival, conteso dai distributori, per l’Italia acquistato dalla Lucky Red.
A rendere Mustang così speciale è una storia, semplice quanto emblematica, che parla di donne e libertà, di amore e ribellione. Chiavi, lucchetti e grate non basteranno a rinchiudere la voglia di vivere delle cinque sorelle, interpretate da altrettante fantastiche attrici, tutte alle prime armi. Se qualcuna delle giovani ribelli dovrà piegarsi al peso delle convenzioni, qualcun’altra riuscirà a sfuggire. E volerà via, anche in nome di tutte le altre. «È un grido di speranza in un Paese sempre più stretto nei recinti del conservatorismo morale e religioso. A farne le spese sono soprattutto le donne. Che nella Turchia laica d’un tempo avevano conquistato molti diritti, compreso quello di voto, già a partire dagli Anni 30, e adesso rischiano di essere riportate a forza indietro», spiega la regista, che sfidando ogni tipo di tabù ha girato il film senza indossare il velo e per di più incinta.
«La repressione — riprende — è prima di tutto sessuale. Ogni gesto, ogni comportamento, viene letto come erotico, si criminalizza il sesso ma non si parla d’altro. In molte scuole maschi e femmine non possono usare le stesse scale, al ristorante i tavoli sono separati. Anche lo stadio è proibito. Il calcio femminile è in voga ma per evitare contatti “impropri” si organizzano partite per sole donne».
Contravvenendo al divieto, la banda delle sorelle scappa per seguire la squadra del cuore. A far la spia stavolta sarà la televisione, che le inquadra urlanti di gioia. Altre punizioni, altre porte sbarrate. Via computer, via telefoni. Basta anche con la scuola, lo studio mette in testa strane idee… Meglio in casa a imparare l’arte della brava massaia, fare i ravioli, alzarsi in piedi quando entrano gli uomini, accettare docili il marito scelto dalla famiglia.
Non tutte ce la faranno a resistere. L’epilogo per una di loro sarà drammatico. Come per tante donne in Turchia, quasi 300 l’anno scorso, morte di morte violenta: suicide, uccise da qualche parente per le loro scelte troppo indipendenti.
«Ma la storia non si ferma, avanza veloce e le donne con lei. Una nuova generazione scalpitante come il cavallo del titolo trova la sua forza nello stare unita. Le mie sorelle sono come un’Idra, cinque teste e un corpo solo che respira all’unisono. Scrivendo questa storia ho pensato a Rocco e i suoi fratelli ma anche a Cechov, alle sorelle che sognano di andare a Mosca. Qui il grido è “A Istambul! A Istambul”. La capitale, dove ripartire e forse ritrovare lo spazio della libertà».