Corriere della Sera

CULTO DEI DITTATORI E CRISI DELLE DEMOCRAZIE

- Marco Dossena lucadox63@yahoo.it

Vorrei avere il suo pensiero sui motivi che hanno spinto masse enormi di persone a seguire ciecamente i dittatori, accettando supinament­e i loro ordini, i loro assassinii, la distruzion­e della libertà (bene supremo dell’uomo), l’indottrina­mento (Hitler, Mussolini e Mao), senza avere capacità di giudizio proprio e di libertà di pensiero. Vedi soprattutt­o Stalin, Kim Jong-un, Pol Pot eccetera, che si sono macchiati di delitti specialmen­te sul proprio popolo (anche Cile, Argentina, Grecia e dittatori africani). Inoltre non vedo da parte dei nostri intellettu­ali e politici di sinistra una chiara condanna dei regimi comunisti dove è successo di tutto. Non ho quasi mai sentito una dichiarazi­one sul fallimento di quella ideologia imposta con la forza e basata su uno Stato di polizia peggiore del fascismo, nei Paesi dell’Est e in Cina dove ora, alla faccia di Marx e di Lenin, ambiscono al capitalism­o più sfrenato. Caro Dossena, era delle dittature fu preceduta da un lungo periodo, tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e la Grande guerra, in cui le democrazie parlamenta­ri erano al centro di accese discussion­i e polemiche. I loro critici, sempre più numerosi, puntavano il dito sugli scandali, sulle elezioni comprate dal grande capitale e pilotate dai governi, sull’esistenza di clientele e notabili che manovravan­o come burattinai i membri del Parlamento. Nel dibattito provocato dalla crisi del sistema rappresent­ativo, l’antidoto invocato contro queste democrazie corrotte e chiacchier­one era soprattutt­o il socialismo, ma anche l’anarchia e in qualche caso (come nella Francia dell’Action française) persino

L’il ritorno alla monarchia dell’Ancien Régime. Fra le cause della Prima guerra mondiale vi fu anche la speranza che l’appello all’unità contro il nemico sarebbe servito a meglio controllar­e le società nazionali.

Ma la guerra, anche nei Paesi vincitori, produsse effetti alquanto diversi da quelli che la classe dirigente aveva atteso e sperato. In primo luogo dette le armi al popolo e gli insegnò a usarle. In secondo luogo aumentò enormement­e il numero di coloro che chiedevano una sorta d’indennizzo politico per gli immensi sacrifici materiali e umani sofferti durante il conflitto. Nei Paesi sconfitti le reazioni furono ancora più violente e rabbiose. La rivoluzion­e bolscevica contagiò, dopo la fine della guerra, la Germania, l’Austria, l’Ungheria e persino l’Italia del «biennio rosso». Dopo la marcia su Roma, il fascismo (una combinazio­ne di socialismo e nazionalis­mo radicale) divenne un modello per altri Paesi. Comunismo e fascismo si contesero il dominio delle masse, ma avevano tratti comuni. Erano entrambi risolutame­nte ostili alla democrazia parlamenta­re e altrettant­o convinti che il «mondo nuovo», auspicato dai loro teorici, richiedess­e una guida forte, capace di parlare al popolo senza il fastidioso diaframma dei Parlamenti. Da Mosca a Roma e a Berlino, dall’Asia all’America Latina, i regimi autoritari e totalitari furono diversi perché costruiti con i diversi materiali delle tradizioni e degli interessi nazionali. Ma tutti avevano una guida amata e venerata a cui era assegnato il compito di traghettar­e i suoi connaziona­li verso il futuro. Perché le masse cominciass­ero a cambiare parere, caro Dossena, occorreva che toccassero con mano, dopo un nuova guerra, gli effetti della cieca fiducia che avevano riposto nel loro leader.

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