Milan come Inter Il totem più forte del rischio bis
Totem e tabù. Comunque vada a finire, quello che è partito come un sogno e con il passare dei giorni si sta tramutando in un’ipotesi di lavoro concreta — ovvero il ritorno di Carlo Ancelotti al Milan — dice molto della strategia del club rossonero. Che poi assomiglia molto a quella scelta dall’Inter, quando ha puntato su Roberto Mancini: un allenatore totem in panchina, quindi uno che — secondo definizione — ha un «significato simbolico per un clan o tribù, al quale ci si sente legati tutta la vita» (cfr. Adriano Galliani: «Con Carlo mi sento sempre»). Davanti al totem il delusissimo mondo Milan (almeno nella sua grande maggioranza) non può opporre grosse obiezioni; il totem funge da scudo di fronte ai pericoli (chiunque altro, al posto di Mancini, Sacchi Nel ‘97 Capello Decimo finì 11° (Bozzani) nel ‘98 (Epa) avrebbe vissuto mesi peggiori). Al totem la società consegna, chiavi in mano, la ricostruzione del futuro e, forse, della propria identità. L’Inter che nella ricostruzione è più avanti — ha già metabolizzato (pur con molte difficoltà) un cambio di proprietà — ora va in cerca di giocatori di qualità: anche questo può funzionare da stimolo. Così Silvio Berlusconi ha deciso di cambiare strategia: basta discepoli (Seedorf, Inzaghi), avanti con il Maestro. Basta risparmiare sui giocatori, perché se poi si manca l’Europa, non è un vero risparmio. E quindi il presidente, anche senza nuovi soci, intende onorare il totem con qualche pezzo buono (si dice quattro innesti di livello: un difensore, due centrocampisti e un attaccante), a prezzo di un sacrificio (economico). Naturalmente il Carlo II fa anche venire alla memoria Arrigo Sacchi e Fabio Capello, i cui ritorni (‘96’97, arrivo in corsa e 11° posto e ‘97-’98, 10° posto) si sono rivelate infelici appendici alle trionfali esperienze precedenti. È il sugo del ritorno, per sua natura ad altissimo rischio di delusione. Ma chissà che Ancelotti non infranga anche questo tabù.