Il Giro d’Italia e un racconto costruito sull’attesa di un evento
C’è il Giro d’Italia, evviva il Giro! Se potete, seguitelo. Scoprirete una parte dell’Italia che forse non vi è familiare e una parte di voi che ignorate del tutto (Rai3 diretta ore 15, «Processo alla tappa» al termine della corsa; Eurosport, diretta ore 14.15).
Nel calcio si tifa per una squadra, è amore condiviso, nel ciclismo si tifa per un corridore, è amore personale. Tanto personale che ogni tifoso ha una sua personale collezione di eroi. La mia, per esempio, inizia con Nino De Filippis e finisce con Fabio Aru. Per ora. Non tutti sono uguali, c’è una scala di valori, poco importa. Nel calcio si palpita per 90 minuti, in una tappa del Giro si sta incollati al video per ore e magari (escluse le tappe di montagna) non succede nulla. A volte ho come la sensazione che l’attesa sia l’essenza stessa di questo sport: l’attesa che qualcosa accada. Le sentinelle di Rai3 sono Francesco Pancani e Silvio Martinello, quelle di Eurosport Salvo Aiello e Riccardo Magrini.
Per sua natura, il ciclismo è puro racconto (mentre il calcio è spettacolo eccessivo, culto di natura teatrale) e c’è sempre un viaggiatore incantato che ti rivela una storia incredibile. Come quella di Richie Porte, che da giorni i suiveur si tramandano di bocca in bocca, ogni volta arricchendola di particolari, veri o falsi non importa.
Com’è noto, l’australiano fora nelle fasi ultime di una tappa, a fianco non ha compagni di squadra e l’amico Simon Clarke (di un’altra squadra) gli passa la sua ruota. Il che è proibito e così Porte viene penalizzato di due minuti. Il regolamento è chiaro ma pare che i corridori non lo conoscano (succede tutti i giorni, nella vita) e poi ci sono i social network che documentano tutto.
Le avventure al Giro, anche le più sconcertanti, non sono mai cercate, ma precipitano come elementi della natura. Basta mettersi in posizione d’ascolto e anche il caso Porte diventa una disputa fra leggi umane e leggi divine, tra norma e fair play.