L’EUROPA CHE RINUNCIA AD ATTRARRE I PAESI DELL’EST
Partnership orientale La marcia di avvicinamento all’Ue dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia subisce uno stop Appare anche complicato il futuro delle relazioni con Armenia Azerbaigian e Bielorussia. C’è cautela per non irritare Putin
Meglio aspettare, per non irritare il Cremlino. L’Europa si scontra con una serie di ostacoli (primo fra tutti, la politica aggressiva della Russia di Vladimir Putin) che stanno cambiando di segno ai rapporti con i suoi vicini a Est. La «partnership orientale», nata sei anni fa e riunitasi di nuovo oggi a Riga, «non è uno strumento per la sua politica di allargamento» avverte con la solita dose di tranquillo realismo, la cancelliera tedesca, dettando la linea per tutti. Si tratta di evitare «eccessive attese» è la consueta formula che si usa in diplomazia quando i problemi sono complessi e le possibilità di risolverli appaiono limitate. A Kiev e alla Georgia, insomma, viene chiesto di stare sereni.
Sono passati due anni da quando, al summit di Vilnius, l’allora presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovych annunciò che non avrebbe firmato l’accordo di associazione con l’Ue, cedendo alle pressioni russe. Quello che successe poi è nella memoria di tutti: le proteste di piazza Maidan, la caduta dal regime di Kiev, l’annessione della Crimea, il conflitto. «La più grave crisi in Europa dai tempi della Guerra fredda» è stato detto. Combattimenti sono ancora in corso, nonostante gli sforzi diplomatici che hanno portato agli accordi di Minsk e niente potrà tornare come prima. L’Europa appare sempre in bilico tra la condanna delle violazioni internazionali compiute da Mosca (e dalla decisioni in termini di sanzioni che ne sono conseguite) e l’impossibilità di agire sulla scena internazionale rompendo tutti i canali di dialogo con Putin.
In questo scenario, la scelta è stata quella di muoversi con prudenza, forse eccessiva. Il cammino di avvicinamento all’Europa dell’Ucraina, della Georgia e della Moldavia rallenta, mentre appare ancora più complicato il futuro delle relazioni con Armenia, Azerbaigian e Bielorussia, più vicini all’orbita russa. Parlando in generale, anche se le situazioni specifiche sono enormemente differenti (si pensi alla tematica della difesa dei diritti umani che riguarda il regime azero e quello di Minsk), l’Unione Europea si limita a prendere atto delle « aspirazioni » e della «scelta europea» dei membri della partnership orientale, come aveva fatto già nel passato, e riconosce il diritto sovrano di ogni Stato di scegliere liberamente il livello di ambizioni e gli obiettivi a cui aspira. Mosca, insomma, non deve temere nuovi, eventuali strappi. Prevale la tesi — non accolta con particolare entusiasmo a Varsavia, Stoccolma e nei Paesi baltici — che sia necessario scongiurare nuove tensioni in un momento in cu si tratta di ristabilire la pace e la legge internazionale in Ucraina. L’avvertimento del resto era stato chiaro. «Non riteniamo che i desideri dei nostri vicini di rafforzare i legami con l’Europa siano una tragedia, ma perché questo processo si sviluppi positivamente non deve danneggiare gli interessi russi» aveva detto alla vigilia del vertice di Riga il ministro degli Esteri, Serghiei Lavrov.
L’esigenza di garantire la stabilità ha avuto quindi il sopravvento, al di là delle differenze che si sono registrate ( e che persistono tuttora) sulla linea da scegliere nei confronti di Mosca. Ma il dubbio è se quanto sta accadendo a Est non possa essere anche il segno di una diminuzione complessiva della capacità dell’Europa di essere forza di attrazione.
Caduta da tempo l’alternativa del passato tra approfondimento e allargamento, l’Ue ha invece bisogno di continuare a rappresentare un punto di riferimento e un modello, capace di chiedere in cambio contropartite in termini di diritti e legalità. Questa è una delle sue ragioni di essere utile anche per costituire un argine contro ogni spinta disgregatrice. Tutto questo non va dimenticato. Nemmeno se Putin mette paura.
Svolte In questa fase Mosca non deve temere strappi paragonabili alla rivolta di Maidan