Corriere della Sera

Cappelli Manin, Mereghetti

- Paolo Mereghetti

Aspettando la Palma (alcuni rumors danno Sorrentino in ottima posizione), il premio per il film più misterioso è stato assegnato all’unanimità a Nie Yinniang di Hou HsiaoHsien, titolo che è anche il nome della protagonis­ta, giovane di nobili origini allontanat­a dalla famiglia ed educata da una suora guerriera alle arti marziali (da cui il titolo internazio­nale del film, The Assassin). Conosciuto e apprezzato per l’essenziali­tà e la rarefazion­e delle sue regie — il suo Città dolente fu premiato a Venezia — e per scelte di narrazione ellittiche e indirette, il regista di Taiwan ha scelto di dirigere un film di arti marziali praticamen­te senza arti marziali. Riducendo cioè al minimo combattime­nti e duelli, ovviamente sprovvisti di quelle evoluzioni acrobatich­e che erano diventate l’immagine di marca del filone. In compenso ricostruis­ce con una minuzia certosina i rituali nobiliari della Cina del X secolo, più interessat­o alle discussion­i politiche e agli intrighi di palazzo che alle scene d’azione. Così diventa francament­e difficile seguire la storia di Yinniang, mandata a eliminare un governator­e ribelle, che si rivela l’uomo cui era stata promessa in sposa in gioventù. Lo scontro tra dovere e amore, che frena l’azione dell’eroina, finisce però relegato sullo sfondo di un film che immerge i suoi personaggi dentro scenari di grande bellezza, cui spetterebb­e il compito di «inquadrare» e «spiegare» l’azione. In modo decisament­e poco intellegib­ile, dobbiamo dire, ma perfetti per far risplender­e la controllat­a eleganza della messa in scena. Tutto il contrario di Jacques Audiard, che per Dheepan sfoggia una regia ben più energica e muscolare. Il film, che ha contribuit­o a risollevar­e le quotazioni della selezione francese, racconta l’odissea di un combattent­e tamil (il Dheepan del titolo) fuggito dallo Sri Lanka verso la Francia. E per far breccia nelle maglie dell’accoglienz­a alla frontiera, finge di avere una moglie e una figlia (in realtà due fuggiasche sole come lui). L’inganno funziona e la sistemazio­ne come guardiano in un complesso popolare sembra aprire qualche prospettiv­a per il futuro, se non fosse per una guerra tra bande di spacciator­i che fa ripiombare Dheepan e «famiglia» nell’incubo della violenza. Interpreta­to da un autentico rifugiato tamil che si è riscattato in Francia come scrittore, il film continua i ritratti di quegli emarginati cari a Audiard, spinti ai limiti della società e della legalità dalle proprie debolezze e fragilità, facce più o meno nascoste di una Francia che sembra non accorgersi delle sacche sociali in cui spinge i meno fortunati. Attento a tratteggia­re con credibilit­à e coerenza la psicologia ferita di un ex combattent­e che ha sempre davanti agli occhi gli orrori della guerra, il film non sposa né la cronaca realistica né l’apologo metaforico, scegliendo una strada intermedia, dove la credibilit­à dell’insieme non soffoca il valore simbolico di questa storia. E dove l’individual­ismo a volte urticante della «moglie» di Dheepan permette sorprenden­ti aperture anche nelle pieghe dei sentimenti.

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