Corriere della Sera

L. Cremonesi

- Lorenzo Cremonesi

Sono stati dati quasi per sconfitti tante volte, salvo poi scoprire puntualmen­te che i guerriglie­ri di Isis restano più che mai vivi e aggressivi. Lo tornano a dimostrare adesso le loro vittoriose avanzate su Ramadi in Iraq e Palmira in Siria.

E ciò per il fatto che noi occidental­i ci siamo concentrat­i sugli aspetti più sanguinari, coreografi­ci e «bombastici» della propaganda del Califfato. Dimentican­done spesso il radicament­o politico tra le masse sunnite e i motivi profondi della loro popolarità. Volevano terrorizza­rci e trovare nuove reclute con i loro video delle decapitazi­oni, dei massacri di prigionier­i a sangue freddo, le promesse di jihad contro il «covo dei Crociati», Roma. E noi vi abbiamo creduto, altalenand­o così tra l’inquietudi­ne spaventata e l’analisi autorassic­urante delle loro debolezze. L’anno scorso, tra giugno e settembre, ci parevano inarrestab­ili. Poi vennero i raid americani, le offensive curde, le tenute di Bagdad e Damasco. Le loro sconfitte a Kobane e a Tikrit ci spinsero a cullarci nell’illusione che tutto sommato il problema fosse in via di soluzione.

Non è così. E questo per il fatto che i tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi e dei suoi eventuali successori (sempre che le voci del suo ferimento grave siano vere) sono soltanto la punta dell’iceberg. Il loro fanatismo terrifican­te trova spazio nell’area grigia e articolata del malcontent­o sunnita. In Iraq nasce dopo l’invasione americana e la defenestra­zione di Saddam Hussein nel 2003, seguite dal crescente monopolio sul potere da parte degli sciiti sostenuti dall’Iran. In Siria ha radici più antiche e ha a che vedere con la frustrazio­ne quarantenn­ale della maggioranz­a sunnita contro la dittatura alawita (una setta sciita) guidata oggi da Bashar Assad.

Diventa evidente che Isis è parte integrante del molto più vasto conflitto civile tra sciiti e sunniti, misto alla guerra di religione e al braccio di ferro tra potenze regionali (di fronte alla rapida diminuzion­e dell’antica presenza Usa), che da quasi un decennio ormai lacera il Medio Oriente allargato. Si comprende allora che ridurre Isis a un mero fenomeno terrorista non solo non lo spiega, ma soprattutt­o non aiuta a combatterl­o. I giovani esaltati che dall’Europa ne vanno a infoltire i ranghi e ne rilanciano le deliranti parole d’ordine sui social media sono certo pericolosi, ma tutto sommato marginali.

Occorre invece fare uno sforzo di comprensio­ne delle ragioni sunnite e trovare risposta alle loro richieste politiche. Nelle ultime ore emergono per esempio le condizioni terribili in cui sono tenute le masse di profughi sunniti in fuga da Ramadi verso Bagdad e bloccati nel deserto dal governo del premier Haider al Abadi. Intanto a Najaf e Qarbala le milizie sciite affilano i coltelli. Non è difficile supporre che ciò rafforzerà il consenso per Isis.

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