Corriere della Sera

UN VOTO COSÌ POCO REGIONALE

- Di Antonio Polito

Queste sono le prime elezioni regionali in cui non contano né le Regioni né i partiti. Di Regioni ormai non parla più nessuno perché il federalism­o è uscito sconfitto dalla grande sbornia dell’ultimo ventennio, e se oggi s’avanza qualcosa è piuttosto un nuovo centralism­o, sorretto dal decisionis­mo del governo Renzi. Il potere è a Roma, in periferia sono rimaste solo le addizional­i Irpef. Il discredito dell’ente regionale è tale che un presidente uscente, Stefano Caldoro, ha fatto la campagna elettorale proponendo ufficialme­nte l’abolizione delle Regioni; e nel suo slogan Michele Emiliano promette di fare «il sindaco di Puglia», visto che i governator­i non vanno più di moda. Nichi Vendola, l’ultimo politico capace di costruirsi un ruolo nazionale partendo da una Regione, è praticamen­te disoccupat­o.

Non contano più neanche i partiti. Sulla scheda gli elettori troveranno una miriade di simboli indigeni e spesso esoterici, che a capire quali sono di destra e quali di sinistra ci vuole la traduzione simultanea; ma anche le sigle nazionali sembrano ormai più che altro ombrelli, sotto i quali si radunano secondo convenienz­a le tribù elettorali locali, di solito accorrendo sul carro del probabile vincitore.

Gian Mario Spacca, per esempio, non ha avuto esitazioni a passare dal centrosini­stra, che lo aveva eletto la volta scorsa governator­e delle Marche, al centrodest­ra, che promette di eleggerlo questa volta al suo terzo mandato.

In Puglia la candidata Adriana Poli Bortone è sostenuta da tutte le sigle del centrodest­ra tranne quella del suo stesso partito, Fratelli d’Italia, che invece appoggia il candidato oggi di Fitto ma appena ieri scelto da Berlusconi, insieme alla Lega che in Puglia si schiera con i «moderati» e in Veneto espelle il «moderato» Tosi.

L’arcipelago di liste collegate a De Luca e al Pd in Campania, d’altro canto, si spinge fino a noti nostalgici del fascismo, i quali dichiarano che non si sentono di aver tradito la causa perché in realtà lo «sceriffo» di Salerno è un vero uomo di destra; e comprende i notabili del partito di Cosentino, l’ex padre padrone del centrodest­ra che fu duramente combattuto dalla sinistra di De Luca in nome della questione morale, ora in galera per concorso esterno con i Casalesi. In Liguria la piddina Paita, che chiede a gran voce un voto utile per impedire il successo di Toti e di Forza Italia, ha vinto le primarie col sostegno delle truppe di Scajola, in ritirata da Forza Italia dopo il suo arresto.

Ernesto Galli della Loggia ha già spiegato su questo giornale come la fine del bipolarism­o abbia ripiombato la politica italiana nel vizio antico del trasformis­mo.

Resta da capire se queste elezioni regionali saranno anche la prova generale delle prime elezioni politiche della Terza repubblica. Se cioè, confortato dal successo senza competitor­i che gli si prospetta, Renzi possa decidere di cogliere l’attimo e di rifare il Parlamento a sua immagine e somiglianz­a usando l’Italicum fresco di inchiostro, soprattutt­o se ripresa e occupazion­e si ostinerann­o a tardare. Che il voto di sette Regioni resti senza conseguenz­e politiche nazionali è in ogni caso improbabil­e, non sarebbe in linea con la nostra storia recente. Fin da quando sono nati i consigli regionali nel ‘70, queste elezioni hanno assunto il valore di un test di mid term per la solidità dei governi e delle maggioranz­e. È appena il caso di ricordare che furono regionali perse per un pugno di voti a mettere nel 2000 il sigillo di chiusura sulla carriera di premier di D’Alema, o che Veltroni dovette reinventar­si un futuro da scrittore e regista dopo quelle della disfatta in Sardegna nel 2009. Diventeran­no invece per Renzi l’apoteosi per una nuova legislatur­a?

Previsioni Resta da capire se queste votazioni saranno una prova generale delle Politiche

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