«Preferibili» i contratti a livello aziendale perché difendono meglio l’occupazione
dove l’economia ha una crescita potenziale maggiore. Primo, le riforme strutturali e la flessibilità delle economie sono «vitali», devono diventare «parte del dna comune» dell’area euro e non essere più lasciate solo ai livelli nazionali ma trovare momenti di decisione a livello di eurozona: nel senso che sono la chiave per uscire dal basso tasso di crescita dell’economia del Vecchio Continente e dalla sua incapacità di creare occupazione. Secondo, chi dice che le riforme, all’inizio spesso dolorose, vanno rinviate a quando l’economia va meglio sbaglia: se disegnate bene, hanno effetti positivi a breve, soprattutto creano la fiducia necessaria a stimolare gli investimenti. Terzo, le banche centrali hanno il diritto di sottolinearne l’importanza in quanto, senza un’economia flessibile, la politica monetaria incontra ostacoli a funzionare e può dovere ricorrere a scelte non convenzionali, estreme, per cercare di superarli. Un punto di vista netto che ha occupato praticamente
Eurozona «Una governance a livello europeo» anche per le riforme dei singoli Paesi
tutta la relazione introduttiva di Draghi al Forum di Sintra, Portogallo, l’incontro organizzato dalla Banca centrale europea (Bce) quest’anno dedicato al tema «inflazione e disoccupazione».
Tra i tanti governatori di banche centrali presenti e tra gli economisti, l’inatteso discorso ha avuto un impatto forte: da un lato ha segnalato la difficoltà della Bce a fare politica monetaria in un’area non solo diversificata ma anche segnata da numerose economie inefficienti e sclerotizzate; dall’altro è stato il richiamo probabilmente finora più forte ai governi affinché cambino – «prima lo si fa, meglio è» – l’economia europea. Draghi ha notato che un terzo dei discorsi dei membri del consiglio dei Governatori questo ha rivendicato il diritto della banca centrale a parlarne, anche se le riforme le devono poi fare i governi. Discorso forte, tutto concentrato sulla necessità di intervenire sul lato dell’offerta economica, cioè del facilitare il fare impresa.
Il presidente della Bce ha anche sottolineato che le prospettive dell’eurozona non sono «mai state così positive negli ultimi sette anni», mentre in tema di flessibilità ha detto che «è preferibile» la contrattazione a livello aziendale perché difende meglio l’occupazione. Un commento a distanza è arrivato dal segretario della Cgil, Susanna Camusso: è facile pronosticare una ripresa «dopo sette anni in arretramento».
Senza rispondere direttamente a Draghi, l’ex segretario al Tesoro americano Larry Summers ha offerto una lettura della situazione e del da farsi nettamente diversa da quella del presidente della Bce: tutta orientata al dovere sostenere la domanda. Un punto di vista sia americano sia keynesiano. Ha in sostanza ribadito la sua idea di «stagnazione secolare», cioè di una modificazione profonda intervenuta nell’economia del mondo a causa della Grande crisi: con la creazione di una realtà economica nella quale si risparmia molto e si investe poco. A suo parere servono, dunque, «con urgenza», politiche di stimolo della domanda.
@danilotaino