Ma lo slancio verso l’Est dell’Europa è finito
Il linguaggio della diplomazia, alla fine, maschera la chiusura di un ciclo nei rapporti tra Unione europea e sei Paesi ex Urss. Lo segnala in modo inequivocabile il passaggio che riguarda l’invasione russa della Crimea nel documento finale del vertice di Riga. Armenia e Bielorussia non hanno condiviso la definizione standard usata dalla Ue: «annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli». La forma viene salvata dal richiamo alle posizioni assunte sul tema dai singoli Paesi all’Onu, dove armeni e bielorussi, per l’appunto, si erano dissociati.
La sostanza politica, comunque, è chiara. Lo slancio verso Est dell’Unione europea si è fermato. Il presidente della Russia, Vladimir Putin, l’assente più evocato nel summit di Riga, forse non è riuscito a creare il vuoto pneumatico attorno all’Ucraina, ma ha sicuramente impedito che si compattasse, lungo i suoi confini, un blocco di insidiosa solidarietà con Kiev.
Il leader ucraino, Petro Poroshenko, si è detto pubblicamente «soddisfatto» per l’esito del vertice. E in effetti tutti i Paesi Ue, a cominciare dalla Germania e della Francia, gli hanno confermato l’appoggio. Ma per arrivare fino a dove? Poroshenko pensa e dice che l’obiettivo dell’Ucraina sia la piena adesione all’Unione europea, seguendo l’esempio dei cugini polacchi e baltici. Nel testo di Riga, però, non c’è traccia di questo percorso. Anzi, il messaggio della Ue è che per lungo tempo non si andrà oltre gli accordi di associazione. Commerci, visti, affari: sì. Cittadinanza europea: no.