La rivincita delle notizie dopo le profezie (sbagliate) sulla fine dei giornali
BAGNAIA (SIENA) Otto anni fa usciva il libro «L’ultima copia del New York Times» e nello stesso periodo l’editore del New York Times, Arthur Sulzberger, dichiarava in un’intervista: « Non so davvero se stamperemo ancora il Times tra cinque anni». Probabilmente anche intorno a queste «profezie» (peraltro interpretate in modo eccessivamente catastrofico, anche perché il «guru» americano aggiungeva: «...ma non me ne importa nulla. Internet è un posto meraviglioso») si è costruito per anni un mood che decretava in modo sommario la fine di giornali e giornalismo. Ebbene, questa percezione sembra in realtà essersi ribaltata. È la novità che emerge evidente dalla due giorni di Bagnaia, la nona edizione del convegno «Crescere tra le righe» organizzato dall’Osservatorio permanente giovani-editori, che ospita i top del giornalismo americano.
Dal confronto inedito, anche perché si è trattato di una condivisione peculiare fra soggetti concorrenti fra loro, è risultata una comune percezione che nei fatti archivia le suggestioni pessimiste: tutti, da Jeff Bewes, amministratore delegato di Time Warner, a Davan Maharaj, direttore del Los Angeles Times, hanno concordato nel sottolineare, pur con sfumature diverse, che il giornale o, meglio, il sistema giornale che si declina dalla carta ai social network e il giornalismo che con qualità e competenza si distingue dal frastuono della rete, sono ridiventati centrali nell’economia dell’informazione. Industria che certo è stata messa in difficoltà dai contraccolpi subiti da diffusione e pubblicità (in tre anni da tv e giornali in Italia sono «scomparsi» annunci per 750 milioni) ma che proprio nel farsi sistema traccia con più determinazione la direzione per il rilancio.
Nessuno si nasconde che la ricerca di soluzioni è ancora in corso. E che, come ha detto Mark Thompson, numero uno del gruppo New York Times, «la decisione di entrare nelle piattaforme» «non è priva di rischi» anche per i maggiori brand giornalistici internazionali. Tuttavia, come ha sottolineato Pietro Scott Jovane, amministratore delegato di Rcs MediaGroup, editore del Corriere della Sera, «Facebook e Google sono un po’ nemici, ma anche alleati se li si prende dal punto di vista giusto».
Strada tutt’altro che tracciata stabilmente nei modi e nei contenuti, nonostante i primi tentativi proprio del New York Times risalgano a oltre vent’anni fa, ma che può rappresentare la più grande opportunità per, come è stato detto ieri più volte, «andare a cercare i pesci dove ci sono». Le preferenze del popolo del web sono chiare: se il 5% degli utenti di internet consulta i siti di informazione, il 31% frequenta i social network. Autostrade anche per i giornali purché editori e giornali garantiscano con la qualità la forza dei loro brand. Che, contrariamente alle previsioni sull’ultima copia (di ca r t a ) de l q u ot id i a n o newyorkese, sono sempre di più gli asset centrali di un’industria alla quale partecipano i soggetti più diversi. Perché a trovare nuovo slancio è prima ancora del giornale il giornalismo, cioè il mestiere di fornire notizie. Affidabili e verificate.
Il problema In Italia spariti 750 milioni di pubblicità, il web ne ha recuperati una minima parte