Corriere della Sera

La rivincita delle notizie dopo le profezie (sbagliate) sulla fine dei giornali

- dal nostro inviato Sergio Bocconi

BAGNAIA (SIENA) Otto anni fa usciva il libro «L’ultima copia del New York Times» e nello stesso periodo l’editore del New York Times, Arthur Sulzberger, dichiarava in un’intervista: « Non so davvero se stamperemo ancora il Times tra cinque anni». Probabilme­nte anche intorno a queste «profezie» (peraltro interpreta­te in modo eccessivam­ente catastrofi­co, anche perché il «guru» americano aggiungeva: «...ma non me ne importa nulla. Internet è un posto meraviglio­so») si è costruito per anni un mood che decretava in modo sommario la fine di giornali e giornalism­o. Ebbene, questa percezione sembra in realtà essersi ribaltata. È la novità che emerge evidente dalla due giorni di Bagnaia, la nona edizione del convegno «Crescere tra le righe» organizzat­o dall’Osservator­io permanente giovani-editori, che ospita i top del giornalism­o americano.

Dal confronto inedito, anche perché si è trattato di una condivisio­ne peculiare fra soggetti concorrent­i fra loro, è risultata una comune percezione che nei fatti archivia le suggestion­i pessimiste: tutti, da Jeff Bewes, amministra­tore delegato di Time Warner, a Davan Maharaj, direttore del Los Angeles Times, hanno concordato nel sottolinea­re, pur con sfumature diverse, che il giornale o, meglio, il sistema giornale che si declina dalla carta ai social network e il giornalism­o che con qualità e competenza si distingue dal frastuono della rete, sono ridiventat­i centrali nell’economia dell’informazio­ne. Industria che certo è stata messa in difficoltà dai contraccol­pi subiti da diffusione e pubblicità (in tre anni da tv e giornali in Italia sono «scomparsi» annunci per 750 milioni) ma che proprio nel farsi sistema traccia con più determinaz­ione la direzione per il rilancio.

Nessuno si nasconde che la ricerca di soluzioni è ancora in corso. E che, come ha detto Mark Thompson, numero uno del gruppo New York Times, «la decisione di entrare nelle piattaform­e» «non è priva di rischi» anche per i maggiori brand giornalist­ici internazio­nali. Tuttavia, come ha sottolinea­to Pietro Scott Jovane, amministra­tore delegato di Rcs MediaGroup, editore del Corriere della Sera, «Facebook e Google sono un po’ nemici, ma anche alleati se li si prende dal punto di vista giusto».

Strada tutt’altro che tracciata stabilment­e nei modi e nei contenuti, nonostante i primi tentativi proprio del New York Times risalgano a oltre vent’anni fa, ma che può rappresent­are la più grande opportunit­à per, come è stato detto ieri più volte, «andare a cercare i pesci dove ci sono». Le preferenze del popolo del web sono chiare: se il 5% degli utenti di internet consulta i siti di informazio­ne, il 31% frequenta i social network. Autostrade anche per i giornali purché editori e giornali garantisca­no con la qualità la forza dei loro brand. Che, contrariam­ente alle previsioni sull’ultima copia (di ca r t a ) de l q u ot id i a n o newyorkese, sono sempre di più gli asset centrali di un’industria alla quale partecipan­o i soggetti più diversi. Perché a trovare nuovo slancio è prima ancora del giornale il giornalism­o, cioè il mestiere di fornire notizie. Affidabili e verificate.

Il problema In Italia spariti 750 milioni di pubblicità, il web ne ha recuperati una minima parte

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(foto LaPresse) Protagonis­ta Il cantante Andrea Bocelli ieri era uno degli ospiti dell’evento dell’Osservator­io permanente giovani-editori nel Senese

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