Corriere della Sera

MA PALMIRA CI COMMUOVE PIÙ DELLE STRAGI DI CIVILI?

- di Marco Del Corona @marcodelco­rona

Improvvisa­mente, Palmira. Prima ci sono state Ninive e Mosul: reperti mesopotami­ci e antiche chiese annichilit­e. Ma è con Palmira, presa dall’Isis nel deserto della Siria, che il mondo si è scoperto spaventato all’idea che un tesoro storico e archeologi­co di incommensu­rabile valore possa essere saccheggia­to e devastato a colpi di esplosivo e di mazza. È successo anche a noi, ammettiamo­lo: siamo in ansia per Palmira, anche se non abbiamo mai visto da vicino quello splendore. Non occorreva che ce lo ricordasse l’Unesco, per un attimo ci siamo sentiti come se a rischio fossero Roma, Venezia, gli Uffizi. Dopo il sussulto, però, occorre fermarsi. Della Siria è Palmira che ci emoziona, che ci commuove? Non le stragi di civili, di bambini, ormai inosservat­e? Non gli stupri delle donne yazide (così come non ci commuoveva la repression­e di Assad quando l’Isis era ancora di là da venire)? E se è così — perché viene il sospetto che sia davvero così — perché? Volendo trovare una spiegazion­e, che sa però di mezza autoassolu­zione, ci si può chiedere se non è perché quelle rovine parlano di noi e a noi più di quanto facciano anonimi volti arabi o curdi. Un altro dubbio, allora: se i nazisti avessero raso al suolo il Partenone, il mondo avrebbe magari colto prima che cosa stava succedendo ad Auschwitz? E se i Khmer rossi avessero distrutto i monumenti di Angkor, il genocidio in Cambogia sarebbe stato un po’ meno rimosso da tutti noi? Le colonne nel deserto, i capitelli così familiari ci richiamano a ciò che siamo, alle nostre radici. E allora si può sperare che il turbamento per Palmira funzioni da sveglia etica, con l’arte — con la bellezza — che esercita la sua funzione: toccarci. Toccare il senso morale altrimenti intorpidit­o, colpevolme­nte atrofizzat­o. In Palmira vediamo noi stessi: se Palmira riuscirà a farci vedere i massacri, Palmira sarà comunque viva, e noi con lei.

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