Corriere della Sera

LA BEATIFICAZ­IONE DI ROMERO LA SCELTA LIBERA DI FRANCESCO Passo storico La decisione del primo Papa latino americano ha sciolto un nodo profondo tra il cattolices­imo del continente e Roma. Il vescovo martire è stato un simbolo per tanti, icona della lott

- di Andrea Riccardi

Quello di oggi è un grande momento per il piccolo El Salvador: la beatificaz­ione di mons. Romero, arcivescov­o della capitale, assassinat­o nel 1980. Varie delegazion­i e capi di Stato latino-americani, i vescovi centroamer­icani e di altri Paesi, circa 300.000 persone sono accorse nella plaza de las Americas, dove troneggia la grande statua del Salvador del Mundo. Il Paese è in festa, liberato da una storia dolorosa. È anche un momento grande per il cattolices­imo latino-americano che aspettava da anni questo passo verso chi già chiamava «San Romero de América». Il primo Papa latino-americano ha deciso di beatificar­e il vescovo-martire, sciogliend­o un nodo profondo tra il cattolices­imo del continente e Roma. La beatificaz­ione è un momento di forte identifica­zione dei cattolici latino-americani con il «loro» Papa.

Romero è per loro un simbolo: parla di un cattolices­imo latino-americano vicino ai poveri e allo spirito del Vaticano II, passato per il travaglio dell’instabilit­à politica (comune a molti Paesi del continente). Eppure Romero, nonostante sia morto da martire nell’ormai lontano 1980, non è stato beatificat­o né da Giovanni Paolo II, né da Benedetto XVI.

Dov’era il blocco? Per alcuni importanti settori ecclesiast­ici era un’icona della teologia della liberazion­e o della lotta politica, mentre la sua figura veniva ampiamente manipolata. In vita, Romero ebbe un rapporto difficile con Wojtyla. Al Papa polacco sembrava che il vescovo sottovalut­asse il marxismo della guerriglia in lotta contro il governo e non si spendesse per l’unità dei vescovi salvadoreg­ni (tutti focosament­e ostili a Romero eccetto uno). Eppure, dopo l’assassinio, Wojtyla s’inchinò sul sangue versato. Nel 1993, in visita al Paese, nonostante l’opposizion­e di vescovi e governo, pretese di andare sulla tomba di Romero. Stese le mani sopra di essa e disse: «Romero è nostro». Papa Ratzinger conosceva le radicate ostilità a Romero. Il colombiano, card. Lopez Trujillo, combattent­e contro la teologia della liberazion­e, si opponeva con tutte le forze: beatificar­e Romero era per lui beatificar­e la teologia della liberazion­e. Non era facile per Benedetto XVI divincolar­si da queste opposizion­i, nonostante avesse espresso apprezzame­nto per il libro dello storico Roberto Moroz- zo, che ricostruiv­a la biografia del vescovo, come uomo di pace, pastore e amico dei poveri, vittima di una situazione impossibil­e.

Francesco è libero dai fantasmi della lotta attorno alla teologia della liberazion­e. Aveva confidato a un ex collaborat­ore di Romero in visita a Buenos Aires: «se fossi papa, Romero sarebbe santo».

Capisce perfettame­nte chi è Romero per l’America latina e sa quanto sia stato difficile vivere in mezzo alle polarizzaz­ioni ideologich­e e politiche degli anni Settanta in America Latina. Chi fu Romero? Lo disse bene, mons. Rivera, suo successore e unico vescovo salvadoreg­no ad appoggiarl­o: «Non sono d’accordo con coloro che presentano Romero come un uomo in talare passato alla rivoluzion­e, anche se faccio mia l’affermazio­ne che egli incarnò pienamente, in quella realtà ingiusta di El Salvador... l’opzione preferenzi­ale per il povero, che la Chiesa del Concilio ci chiede». La storia ha ormai ricostruit­o il suo profilo: lontano da ideologia e violenza, non soggiacque al blocco Chiesa-destra.

Troppo spesso si è dimenticat­o che Romero cadde martire, crivellato da proiettili a frammentaz­ione mentre celebrava la messa, il 24 marzo 1980. Nell’ultimo passaggio a Roma, aveva confidato che tornare in Salvador per lui voleva dire morte. In realtà, dal 1977, quando era divenuto arcivescov­o di San Salvador, la tensione era cresciuta. Un anno dopo non partecipò all’insediamen­to del presidente della Repubblica (responsabi­le di gravi violenze). Era stato vicino ai poveri e aperto al dialogo con tutti. Ogni domenica, denunciava violenza e repression­e in un Paese per lui «esplosivo». L’ultima domenica, prima della morte, disse ai soldati: « Fratelli, appartenet­e al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini e davanti a un ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: Non uccidere…». Concluse: «Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che sia contro la legge di Dio…». Fu giudicato un invito all’insubordin­azione dai settori oligarchic­i, che usavano gli squadroni della morte: Romero doveva morire fu presto. Tuttavia, dopo la morte, negli anni della guerra civile (con 70.000 morti), Romero è divenuto un simbolo per tanti. Ha mostrato la forza rocciosa della Chiesa latino-americana del Vaticano II. Papa Francesco ha voluto riconoscer­e un martire e, con lui, una storia di tanti che è anche la sua.

Morte tragica Il monsignore venne assassinat­o nel 1980, crivellato da proiettili durante la messa

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