All’inizio del Novecento fu la patria di una rivoluzione estetica. Michelstaedter ne era il simbolo
Gorizia capitale della dissonanza
Un curioso destino culturale quello della città di Gorizia — Göerz per gli austriaci dell’impero — per i quali era considerata quasi un luogo di villeggiatura invernale dato il suo buon clima e la vicinanza del mare con la sua spiaggia di Grado. La cittadina, che fu un fulcro drammatico della Grande guerra, doveva avere uno strano destino negli anni successivi durante i quali l’incontro con la cultura italiana si mescolava con le memorie della intelligentsia mitteleuropea; eppure proprio Gorizia doveva tornare alla ribalta degli ultimi tempi per la riscoperta di quello che fu uno dei più geniali rappresentanti delle sue vicende culturali: Carlo Michelstaedter.
Anche se Gorizia non aveva la tradizione universitaria della vicina Trieste o delle città austriache di Vienna e di Gratz, il caso volle che molte personalità del mondo artistico e culturale facessero tappa nel suo territorio; così ad esempio il grande pianista e compositore Liszt, così il musicologo Busoni, il pittore Bolaffio e tutti quei giovani letterati che aspiravano a una prossima unione con l’Italia; ma è solo recentemente che gli studiosi hanno riscoperto una delle personalità più intense e anomale nell’ambito filosofico: Carlo Michelstaedter autore di un unico libro, Persuasione e retorica che doveva di recente essere ripreso di nuovo in considerazione in un testo recente, 1910, L’emancipazione della dissonanza (Editori Internazionali Riuniti, pp. 319, € 20), dello studioso americano Thomas Harrison, professore di linguistica all’università di Los Angeles, il quale sottolineando per l’appunto i problemi cruciali di una «dissonanza culturale» di quell’epoca trovò il modo di riesumare la curiosa e intensa personalità di Michelstaedter come emblema di quella
L’opera
Thomas Harrison, (traduzione di F. Lopiparo, Editori Riuniti, pp. 314, 20). Harrison è docente alla University of California. Foto in alto: Cavalleria a Gorizia il 9 agosto 1916 (Ufficio storico dell’esercito) situazione culturale che una città come Gorizia rappresentava in maniera perfetta.
La famiglia Michelstaedter costituiva d’altronde uno dei centri culturali per la cittadina giuliana e — se mi è concessa una minima apertura autobiografica — ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi condusse a Gorizia — sua città natale per conoscere i genitori del loro celebre figlio allora già suicida. In quell’occasione viene accennato al fatto che la famiglia aveva dato lo stesso nome di mio padre per l’amicizia e considerazione nei suoi confronti. Il volume di Thomas Harrison sottolinea sin dalle prime righe il problema della dissonanza e della discrepanza tra cultura ottocentesca e i nuovi fermenti della cultura mitteleuropea, nella quale già allora brillavano le personalità artistiche e filosofiche di Schoenberg, Max Huber, Honegger , Wittgenstein, Husserl e Freud, mentre artisti come Kokoschka, Egon Schiele formavano una sorta di olimpio culturale per quei tempi ancora inesistente nel nostro Paese. Ancora oggi la figura di Carlo Michelstaedter ha trovato modo di farsi strada tra le diverse personalità dell’epoca, cosi da rappresentare un lembo filosofico che non ha veri riscontri altrove. Tra gli altri autori che allora ebbero ad emergere oltre ai ben noti filosofi come Husserl, non bisogna dimenticare il caso di Rudolf Steiner e della sua antroposofia che proprio in quegli anni aveva trovato a Dornach il centro per lo sviluppo della sua dottrina.
Se il ricordo di Carlo e della sua famiglia era destinato a dileguarsi soprattutto dopo il suicidio precoce del giovane filosofo, la sua figura rimase costante a Gorizia che attraverso il suo nome viene oggi alla ribalta nel testo di Harrison, proprio per la coincidenza che è facile scorgere tra la «dissonanza» citata nel libro e l’atmosfera degli anni '10 del novecento che costituirono da una lato la rivendicazione delle istanze patriotiche italiane, dall’altro la presa di coscienza della nostra cultura dei grandi pensatori mitteleuropei già citati e che nel nostro Paese erano ancora abbastanza poco noti a prescindere da Husserl e Wittgenstein. Il fatto che uno studioso attento come Harrison abbia dedicato buona parte al volume della figura di Michelstaedter è indiscutibilmente un elemento positivo, non solo per la gloria postuma della cittadina giuliana, ma per il riconoscimento alla città di una priorità culturale molto spesso dimenticata. Non avrei certo pensato che avrei potuto occupami di quel periodo storico dopo tante vicende belliche e esistenziali eppure il ricordo dell’incontro con la famiglia Michelstaedter, mi è stato molto caloroso e non solo, mi ha permesso di prendere in considerazione un filosofo che troppo spesso viene oggi dimenticato. Quello che non credo si debba dimenticare è quella particolarità del periodo 19101920 perché il titolo stesso del volume Emancipazione della dissonanza comprende non solo una discrepanza filosofica culturale, ma addirittura una fase cruciale. Basterebbe il caso della musica a provarlo, dove
Personalità L’influenza di Husserl, Freud, Schoenberg, Max Huber, Honegger e Wittgenstein Arti Il collasso dell’Io e dei suoi mezzi espressivi è evidente in letteratura e nella pittura
l’avvento della dodecafonia doveva travolgere quella che era la sintassi musicale ottocentesca e immettere nella sfera delle note quella discrepanza tecnica assieme all’emancipazione della dissonanza che costituisce appunto il sottotitolo del volume di Harrison.
E quello che mi piace sottolineare è una frase del testo: «Il collasso dell’Io e dei suoi mezzi espressivi è ugualmente evidente nei dialoghi e nei disegni di Michelstaedter, nei suoi componimenti lirici e nei dipinti». Una personalità così complessa e approfondita come quella del giovane suicida doveva esemplificare in un certo modo la tragica situazione politica sociale oltre che psicologica dell’epoca che non a caso vide nelle figure di Freud, Jung, Worringer, una via che potesse condurre fuori dal limbo dell’inconscio e del conflitto esistentivo. (1910), pubblicato a Genova nel 1913 ed ora in edizione critica a cura di Sergio Campailla (Adelphi, 1995). Campailla ha curato anche (Adelphi, 1987). Studi su di lui sono quelli dello scrittore Claudio Magris, (Garzanti, 1991) e (Adelphi, 2010).