La sincerità di un interprete straordinario
Con un film dal titolo inglese — Valley of love (Valle dell’amore) — si chiude l’interminabile presenza francese in gara per la Palma d’oro. Il film di Guillaume Nicloux si svolge tutto nella valle della morte dove gli ex coniugi attori Isabelle (la Huppert) e Gérard (cioè Depardieu) si ritrovano dopo anni nel nome del figlio morto suicida. Prima di morire, il giovane aveva scritto due lettere per invitare i genitori a seguire sei mesi dopo un preciso itinerario tra i canyon della valle, in attesa di un suo possibile «ritorno». L’assurdità della situazione si trascina stancamente tra panorami assolati e luoghi solitari, nell’attesa di una presenza che sembra sempre sfuggire. Quello che si impone è invece il carisma dei due attori, chiamati a ruoli che rimandano alla propria carriera e alla propria natura. Soprattutto Depardieu è straordinario per come si regala alla macchina da presa, con la sua pancia extralarge (è spessissimo in costume da bagno), il suo sudore, la sua voracità, la sua sincerità di uomo prima che di attore. Davanti a lui dimentichi il film (dimenticabile) per farti affascinare da un uomo che sembra portare dentro di sé la sofferenza e la gioia del mondo intero. Qualità che invece mancano totalmente al protagonista di Chronic (Cronico), l’infermiere David Wilson cui Tim Roth dà vita nel film del messicano Michel Franco. Specializzato nella cura di malati terminali o comunque molto gravi, passa da un moribondo a un infartuato con la stessa malinconica dedizione. L’assenza di vita privata dovrebbe far capire che si porta dietro un grande peso ma soprattutto serve per giustificare il ritratto di un eterno sconfitto e delle sofferenze che nasconde: macchina fissa e frontale, dialoghi ridotti all’osso, snodi narrativi non sempre ben chiari. Con un finale troppo repentino per non assomigliare allo stratagemma di chi non sa come concludere la storia.