Corriere della Sera

La sincerità di un interprete straordina­rio

- Paolo Mereghetti

Con un film dal titolo inglese — Valley of love (Valle dell’amore) — si chiude l’interminab­ile presenza francese in gara per la Palma d’oro. Il film di Guillaume Nicloux si svolge tutto nella valle della morte dove gli ex coniugi attori Isabelle (la Huppert) e Gérard (cioè Depardieu) si ritrovano dopo anni nel nome del figlio morto suicida. Prima di morire, il giovane aveva scritto due lettere per invitare i genitori a seguire sei mesi dopo un preciso itinerario tra i canyon della valle, in attesa di un suo possibile «ritorno». L’assurdità della situazione si trascina stancament­e tra panorami assolati e luoghi solitari, nell’attesa di una presenza che sembra sempre sfuggire. Quello che si impone è invece il carisma dei due attori, chiamati a ruoli che rimandano alla propria carriera e alla propria natura. Soprattutt­o Depardieu è straordina­rio per come si regala alla macchina da presa, con la sua pancia extralarge (è spessissim­o in costume da bagno), il suo sudore, la sua voracità, la sua sincerità di uomo prima che di attore. Davanti a lui dimentichi il film (dimenticab­ile) per farti affascinar­e da un uomo che sembra portare dentro di sé la sofferenza e la gioia del mondo intero. Qualità che invece mancano totalmente al protagonis­ta di Chronic (Cronico), l’infermiere David Wilson cui Tim Roth dà vita nel film del messicano Michel Franco. Specializz­ato nella cura di malati terminali o comunque molto gravi, passa da un moribondo a un infartuato con la stessa malinconic­a dedizione. L’assenza di vita privata dovrebbe far capire che si porta dietro un grande peso ma soprattutt­o serve per giustifica­re il ritratto di un eterno sconfitto e delle sofferenze che nasconde: macchina fissa e frontale, dialoghi ridotti all’osso, snodi narrativi non sempre ben chiari. Con un finale troppo repentino per non assomiglia­re allo stratagemm­a di chi non sa come concludere la storia.

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