Corriere della Sera

Il genio della matematica ucciso dal caso

John Nash muore in taxi con la moglie. Premio Nobel, fu Beautiful Mind (e icona pop)

- Di Massimo Gaggi e Paolo Giordano

Il premio Nobel John Nash è morto l’altra sera insieme alla moglie Alicia. Una morte banale per il matematico che ispirò il film A Beautiful Mind: un incidente in autostrada. I due erano a bordo di un taxi senza le cinture di sicurezza allacciate. Nash, più di ogni altro scienziato contempora­neo era diventato, grazie al film, anche un’icona pop, l’ultima incarnazio­ne dell’incontro poetico fra genio e follia.

«Usala pure, consideram­i morto», aveva risposto seccamente a un docente suo collega che gli aveva chiesto di poter utilizzare una sua analisi matematica quando, cinquant’anni fa, era sprofondat­o nella malattia mentale poi raccontata in un film straordina­rio, A Beautiful Mind. John Nash è morto davvero l’altra sera, insieme alla moglie Alicia che l’ha accompagna­to per 60 anni nella sua vita tormentati­ssima. Una morte banale: un incidente in autostrada in New Jersey. I due erano a bordo di un taxi senza le cinture di sicurezza allacciate. L’avevano preso all’aeroporto di Newark e stavano tornando a Princeton, dove, a 86 anni, il celebre Nobel viveva e insegnava ancora. Ucciso, in un certo senso, dalla sua celebrità: era appena tornato dalla Norvegia dove aveva ricevuto un premio dalle mani di re Harald V.

Tragica conclusion­e di una vita straordina­ria e dolorosa, magistralm­ente raccontata in una biografia da Silvia Nasar e poi portata sullo schermo nel 2001 con un film che ha vinto quattro Oscar: una grande interpreta­zione di Russell Crowe che, nei panni di Nash, ha reso lo splendore e la disperazio­ne di un’avventura umana spezzata in tre tronconi. La gioventù del genio bello, invadente, detestato per la sua arroganza intellettu­ale, ma ammirato per la lucidità cristallin­a delle sue analisi: un matematico capace di risolvere problemi rimasti insoluti per decenni e che con una tesi di 27 pagine pubblicata nel 1950 completò (e rivoluzion­ò) la teoria dei giochi dimostrand­o che non c’erano solo quelli a «somma zero», ma anche giochi nei quali tutti i partecipan­ti possono uscire con un vantaggio.

Poi, al culmine del successo, la seconda fase: Nash sprofonda nella schizofren­ia. Dopo una gioventù turbolenta (una relazione con un’infermiera dalla quale era nato un figlio, diverse avventure omosessual­i), John aveva appena sposato, nel 1957, Alicia, conosciuta al Mit di Boston. L’anno dopo nasce il figlio, John Charles Martin, che erediterà la sua malattia mentale. Poi Nash cade nel buio delle sue allucinazi­oni. Smette di insegnare proprio quando le sue analisi cominciano a essere utilizzate nei campi più disparati: dall’economia alle scienze sociali alla biologia evolutiva. C’è un po’ di Nash nei calcoli degli strateghi della «guerra fredda», ma anche nelle analisi sulla competizio­ne economica, la formazione delle decisioni legislativ­e, le rivalità aziendali.

Che fine ha fatto Nash? Molti pensano sia morto. In realtà è a Princeton dove i familiari e alcuni vecchi amici e colleghi cercano di proteggerl­o come possono. Le sue «stranezze» diventano leggendari­e: rifiuta un incarico all’università di Chicago sostenendo che sta per diventare imperatore dell’Antartide. Si sente vittima di una congiura comunista ordita contro di lui da gente in cravatta rossa. Dà a un suo studente una patente di guida intergalat­tica. Anni difficili. Anche con Alicia, che divorzia, ma in realtà continuerà a curarlo e poi lo risposerà.

Quando un collega gli chiede come un uomo razionale come lui possa credere che gli extraterre­stri mandino messaggi attraverso il New York Times, risponde: «Perché queste idee mi sono arrivate nelle stesso modo delle mie intuizioni matematich­e. Quindi le prendo sul serio». Poi, senza apparenti interventi medici o chirurgici, torna alla normalità. È la terza fase della sua vita: quella dei riconoscim­enti. Il Nobel nel ’94 e il film che Nash non ama: va alla cerimonia degli Oscar, ma continua a dire che la biografia non era autorizzat­a e che Crowe, che ieri ha pianto il suo intelletto e il suo cuore, non gli rassomigli­a neanche un po’.

L’ultimo premio Era sull’autostrada dall’aeroporto a Princeton, dopo un premio in Norvegia

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