Corriere della Sera

Il mondo opaco delle authority (muterà mai?)

- Di Sergio Rizzo

Il rinvio della nomina dei due commissari della Consob, decisa dal governo quando i giochi erano già fatti, è apparso quanto mai opportuno. Non sono qui in discussion­e i candidati: impossibil­e giudicare, senza conoscere i criteri seguiti nelle scelte. Ma il metodo per quelle nomine.

Per un esecutivo che professa la trasparenz­a, nonché il merito e le capacità profession­ali negli incarichi pubblici, è un errore da matita rossa. Sul quale riflettere. Una riflession­e ancora più profonda tuttavia andrebbe fatta sul mondo opaco e indecifrab­ile delle cosiddette autorità indipenden­ti, di cui la Consob è capostipit­e. Organismi che dovrebbero essere indipenden­ti dal potere politico, avendo il compito di operare a garanzia dei diritti dei cittadini. E che sono invece diventate prevalente­mente centri di potere, talvolta fini a se stessi. È la politica che sceglie i vertici, con meccanismi differenti da un’autorità all’altra, talvolta sempliceme­nte sulla base di intuiti personali e non di procedure concorrenz­iali. Impossibil­e non avvertire il penetrante odore della lottizzazi­one pressoché ovunque. Perfino fra il personale.

Sempre più spesso assistiamo alla trasmigraz­ione di commissari da un’authority all’altra, con l’effetto di creare negli anni un piccolo manipolo di profession­isti delle autorità presunte indipenden­ti. Ciascuno, però, con un partito o una corrente di riferiment­o. Anche il ricorso ai politici trombati o non più candidabil­i si è intensific­ato. A destra come a sinistra: è sufficient­e dare uno sguardo ai collegi di alcune autorità, come i Trasporti o la Privacy. Da una decina d’anni, poi, sono arrivati in massa anche i magistrati, prevalente­mente del Tar e del Consiglio di Stato. Con il risultato di determinar­e un pericoloso conflitto d’interessi, consideran­do che la magistratu­ra amministra­tiva è competente per giudicare i ricorsi contro le stesse authority.

Non poteva poi mancare una insensata spartizion­e territoria­le. Ogni città vuole la sua authority. Napoli ha rivendicat­o la sede dell’Agcom, che dunque ne ha anche una a Roma, con un inevitabil­e riflesso sui costi. Torino ha invece preteso l’autorità dei Trasporti, che perciò deve avere pure gli uffici di Roma. Mentre da molti anni Milano, che è la piazza finanziari­a italiana, rivendica la sede della Consob: ma inutilment­e, perché la sede principale della Commission­e che controlla la Borsa continua a essere a Roma. Si trovano invece a Milano gli uffici dell’autorità per l’Energia, che però deve avere anche una sede a Roma, dove c’è lo sportello del consumator­e, ma non nello stesso posto.

La confusione delle procedure di nomina e la spregiudic­atezza di certe decisioni (memorabile il caso di un ex deputato già commissari­o di un’authority e multato dalla stessa authority, nominato nel collegio di una seconda authority: alla faccia di quella sanzione) ha avuto come conseguenz­a l’inevitabil­e abbassamen­to del livello tecnico dei collegi. Il tutto a discapito dei consumator­i e degli utenti che invece dovrebbero essere tutelati da quegli organismi. Qualche caso? La giungla delle tariffe telefonich­e è sempre più intricata, e in quel groviglio si nascondono sorprese di ogni tipo, che rasentano la truffa: la guerra dei prezzi spinge i gestori a inventare offerte sempre più allettanti ma piene di trabocchet­ti. La liberalizz­azione dei servizi energetici presenta rischi micidiali per chi si avventura nel mare magno del mercato senza averne gli strumenti e le capacità. Le bollette dell’acqua, ora affidate alle competenze dell’autorità dell’Energia, hanno raggiunto livelli record dopo il referendum che ha vietato la privatizza­zione della gestione dei servizi idrici.

E si potrebbe continuare. Quanto all’utilità di certe authority, anche lì ci sarebbe molto da discutere. Per fortuna l’impalpabil­e autorità di Vigilanza dei contratti pubblici e l’ancora più impalpabil­e Civit hanno lasciato il passo all’autorità Anticorruz­ione. E su quella follia che avrebbe fatto nascere l’authority dei Servizi postali (!) c’è stato per fortuna un ripensamen­to. Ma questo non ha impedito che l’autorità dei Trasporti venisse creata senza avere di fatto il potere di incidere su un capitolo decisivo come le tariffe autostrada­li: la legge istitutiva dice che non può aprire bocca sulle concession­i in essere.

Una riflession­e seria non potrebbe che sfociare in una riforma altrettant­o seria. Quella che nessuno ha mai voluto fare: troppo comodo lasciare le cose come stanno. Nel 2001 il governo Berlusconi l’annunciò, salvo poi mettersi a pestare l’acqua nel mortaio per i successivi quattro anni. Nel 2006 toccò a Prodi proporre la riforma delle authority. Ma il suo governo non durò che un paio d’anni e la proposta finì nei cassetti. Poi più nulla. L’idea riaffiorò nel 2012 durante il governo di Mario Monti. Il quale si premurò subito di precisare: «La riforma delle authority non è nel mio programma».

Da allora sono passati altri tre anni e mai come adesso sarebbe necessario stabilire regole uguali per tutte le autorità applicando meccanismi di nomina che garantisca­no concreta indipenden­za, introdurre merito reale e trasparenz­a effettiva per la designazio­ne dei vertici, rivedere poteri e le competenze, stabilire contratti di lavoro con trattament­i economici umani e uniformi. Ma anche eliminare le strutture (e le sedi) inutili. Da un sistema finalmente serio ed efficiente avremmo soltanto da guadagnare tutti quanti.

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